Autore: filcusum

Un Airone a Venezia

Ci sono storie d’amore che finiscono. Alcune, come diceva una canzone, “fanno dei giri immensi
e poi ritornano”.

È un po’ quello che accade nel romanzo “Un Airone a Venezia” di Anna Bellini.
La protagonista della storia, Chiara, decide di trasferirsi a Venezia perché quello è il luogo che l’uomo che lei amava, e che ormai non c’è più, le aveva insegnato a conoscere a fondo.
Ad ogni passo, attraversando la città, si imbatte in una chiesa, in un monumento o più semplicemente in un caffè o in un’osteria che l’Airone (questo il soprannome che lei aveva dato al Matteo, il suo compagno) le aveva “presentato”.

“Non distinguevo un pittore da un altro e aver studiato ragioneria non mi facilitava certo le cose, le infinte lezioni di Matteo, accompagnate dalla sua insistenza nel volermi trascinare in giro per chiese e musei mi irritavano, ma lui non demordeva, oltretutto nel tempo libero dal suo lavoro di artista, s’era messo a fare la guida turistica e io ero la sua cavia preferita; se mi distraevo mi riprendeva e ricominciava la lezione, così di malavoglia ho imparato a distinguere Tintoretto da Tiziano e Giorgione da Veronese e adesso per questo gli sarò sempre grata.”

Ma la scelta di Chiara non è, banalmente, un pellegrinaggio, un modo per restare agganciata ad una relazione che fa parte del suo passato.
Chiara, ormai, da quell’uomo che non c’è più, ha assimilato un attaccamento viscerale ed indissolubile ad un luogo unico al mondo.
Un sentimento che capisco fino in fondo e che mi ha fatto apprezzare il romanzo.
Vivo a Venezia da quasi cinquant’annni.
Non ci sono arrivato per amore, ma per…lavoro: mi ero appena laureato e una grande azienda mi aveva offerto un lavoro lì.
Prestissimo, però, ho incominciato a dire una frase, che chi mi conosce bene  mi ha sentito pronunciare più volte. La frase è questa: Venezia è l’unica città in cui vale la pena vivere.
Frase enfatica e sicuramente esagerata, in qualche caso giustamente accolta con ironia. Soprattutto dai cultori di un luogo comune molto diffuso: Venezia è bella ma non ci vivrei.

Filippo Cusumano

Gli insulti del tempo

Difficile aprire a caso  la Recherche proustiana senza trovare qualcosa di stimolante. Per non parlare della straordinaria qualità della scrittura. L’ho fatto anche stamattina, come mi capita di tanto in tanto.
Il volume era l’ultimo dell’opera , “Il tempo ritrovato”,uscito postumo.

Le pagine che ho letto stamattina riguardano gli insulti del tempo al fisico dei protagonisti della storia, che il Narratore ritrova, dopo anni, ad un ricevimento.

Unica eccezione : Odette de Crecy, rimasta quasi uguale a se stessa.

“Lì per lì non la riconobbi non già perchè fosse cambiata, ma perchè non lo era.

Essendomi reso conto, da un’ora, di ciò che il tempo aggiunge di nuovo agli esseri e che bisogna detrarre per ritrovarli quali li abbiamo conosciuti, facevo adesso rapidamente il computo.
E, aggiungendo all’antica Odette il numero degli anni passati su di lei, il totale che ne ricavai fu una persona che non poteva essere quella che avevo sotto gli occhi, proprio perché questa era simile a quella di una volta.
Fino a che punto ciò era dovuto al belletto, alle tinture? Essa aveva l’aria, sotto la pettinatura schiacciata dei suoi capelli dorati- simili un poco alla parrucca arruffata di una grossa bambola meccanica su un volto, attonito e immobile,  anch’esso di bambola- sui quali era sovrapposto un cappellino piatto, dell’Esposizione del 1878.[….]
D’altronde, proprio perchè non era cambiata, sembrava che non fosse viva: aveva l’aspetto di una rosa sterilizzata.”

P.S. All’epoca di Proust l’unica arma per resistere agli insulti del tempo era- per usare il termine scelto da Proust-  “il belletto”. 
Ma la descrizione di Odette, rimasta quasi uguale a se stessa, ma priva di vita,  simile ad una “rosa sterilizzata” , sembra la descrizione di una signora dei nostri tempi affidatasi alla chirurgia plastica…

QUANDO CADONO LE STELLE

In che misura è giustificato l’interesse per la vita di un artista?

Conoscere traumi dell’infanzia, vicissitudini amorose, rovesci economici,disturbi digestivi e difficoltà respiratorie di un poeta o di un romanziere ci mette in condizione di capire ed interpretare meglio al sua opera?

Oppure noi accaniti lettori siamo, in fondo, soltanto dei “guardoni” ansiosi di frugare nella vita delle nostre “star” ? Insomma semplici e banalissimi appassionati di gossip ?

Magari convinti, a torto, di essere più “nobili” di altri cultori di gossip sulla vita di veline e calciatori?

È una questione molto controversa, sull’importanza e sull’irrilevanza del conoscere, oltre alle opere di un artista, anche i particolari della sua vita, si sono espressi in molti, da Saint Beuve ( favorevole ) a Proust ( contrario).

Un fatto però è certo : che esplorare la vita di un artista è quasi sempre un esercizio affascinante.
Se poi in questo esercizio, sei preso per mano e accompagnato da qualcuno che si è prende la briga non solo di documentarsi sulla vita dell’artista, ma anche di calarsi nella sua intimità e farla uscire allo scoperto, ecco che il divertimento e l’emozione sono assicurati.

(Gian Paolo Serino)

È quanto avviene con il primo romanzo di Gian Paolo Serino, QUANDO CADONO LE STELLE.

 

La parola che mi viene più facile usare per descrivere questo libro – e devo aggiungere che non sono il primo a farlo – è “incursione”.
Serino fa proprio questo : non si accontenta di scovare i fatti, di rintracciare i documenti, di abbeverarsi alle fonti bibliografiche più disparate, si cimenta anche in un tentativo originalissimo: quello di evocare – quasi medianicamente – lo spirito dell’artista.
Non gli basta, per esempio, sapere e farci sapere che J.Salinger, l’autore de “Il giovane Holden, ha avuto una sfortunata storia d’amore con Oona O’Neill, vuole che di ogni singolo passaggio di quella storia il lettore abbia la “versione” di Salinger.Di un Salinger/Serino naturalmente.
Un biografo “normale” racconterebbe quella vicenda mettendo a fuoco gli avvenimenti esteriori e, per darci conto della loro ricaduta psicologica, si limiterebbe a cercare le lettere scritte dall’artista in quel periodo o a interrogare le persone che gli sono state accanto. Serino fa qualcosa di più, quella storia prova a viverla in prima persona.

( Oona O’ Neill)
È lui che incontra Oona, che la porta al Central Park al laghetto delle anatre, che le prende la mano e la bacia, che poi è costretto a lasciarla per andare sotto le armi.
Ed è lui che vive il lungo incubo della guerra in Europa.


E’ lui che un giorno
apprende quasi per caso che la donna che ama si è sposata a 18 anni con Charlie Chaplin
( già 54enne).

Ma lasciamo la parola all’incursore (il modo migliore per far apprezzare la qualità di un libro è simile a quello che serve per valutare la qualità di un melone : se ne taglia un tassello e lo si assaggia).

Ecco come Salinger/ Serino ci racconta dei suoi primi incontri con Oona:
oona“Un pomeriggio la prendo per mano, fuori dal cinema, e da quel momento cominciamo a fare tutto tenendoci per mano. Non so perchè. Ancora non l’ho baciata, ancora non si sa in che tipo di rapporto andremo a finire, ma ci viene così naturale, qualsiasi cosa facciamo, ovunque andiamo. […]
La bacio per la prima volta in un pomeriggio di fine estare dopo aver tirato da mangiare alle anatre del lago per un buon quarto d’ora.
Poi ci sediamo accaldati sulla nostra panchina e ci abbracciamo. Siamo al centro di ogni cosa. Tutto il resto succede intorno, non è altro che la nostra cornice. I bambini, i ciclisti, le altre coppie che hanno appena fatto un picnic, il canto invasivo delle cicale.
“Un giorno scriverò di questo lago, Ooona. Scriverò anche di queste anatre, avranno un posto importante in una storia” le dico, durante uno dei nostri pomeriggi”
Ed ecco, ancora, il brano in cui Salinger/Serino scopre che Ooona si è sposata con un altro:
Quella mattina apro il New Yorker e lo sfoglio svogliato, un po’ come sempre, alla ricerca di nuovi scrittori pubblicati al posto mio.
Volto velocemente le pagine con le dita sporche del grasso con cui lubrifico la canna del fucile, e del lucido da scarpe per gli stivali. Noto un grosso titolo, a caratteri enormi, che non faccio in tempo a leggere, ma che, per qualche motivo, pernso meriti la mia attenzione.
Torno indietro sulla pagina.L’apro.

CHARLIE CHAPLIN SPOSA A CINQUANTAQUATTRO ANNI LA GIOVANE DICIOTTENNE OONA O’NEILL, FIGLIA DEL PREMIO NOBEL EUGENE O’NEILL

Qualcosa mi strozza la gola, impedendomi di vomitare.
Disegno Chaplin e Ooona che fanno cose insieme.
Disegno un vecchio bavoso con una ragazzina che ha appena compiuto diciotto anni.
Calco così forte sul foglio da spezzare la matita. Vorrei avere un pugnale.”
J.D. Salinger
L’incursione fatta nella vita di Salinger non è la sola che troviamo nel libro di Serino.
Grazie a lui ci “caliamo” anche nella vita di Picasso, di Cary Grant, di Egdar Allan Poe, di Kafka, di Stephen King, di Ernest Hemingway.
Arrivati alla fine del libro, ci sentiamo come i bambini ai quali si raccontano le fiabe: ne vorremmo ancora.
E chissà che non accada.
Sicuramente un altro libro di incursioni come questo io correrei subito a comprarlo…

 

“Casanova” di Stefan Zweig

“Cio’ che altri devono inventare, lui lo ha appreso respirando…

Parte con una formidabile stroncatura  il saggio su Giacomo Casanova di Stefan Zweig ( Casanova, edizioni Castelvecchi)

La presenza di Casanova nel Pantheon dei geni creativi è “tanto poco giustificata quanto quella di Ponzio Pilato nel credo religioso”.

I suoi versi sono “improvvisati”  e “puzzano di muffa accademica”.

Il suo romanzo utopistico Isocameronè “ampolloso” e per leggerlo ci vuole la “pazienza di un agnello sotto una pelle d’asino”

“Casanova – scrive Zweig – non appartiene alla nobiltà poetica più di quanto appartenga all’almanacco del Gotha; parassita in entrambi i casi, intruso senza rango ne’ diritti”.

Com’è allora, si domanda Zweig, che nonostante la sua innegabile mediocrità letteraria, Casanova ha ancora un posto di rilievo nella letteratura mondiale?

“Con ogni probabilità, la sua Iliade erotica continuerà a vivere e a trovare lettori infiammati quando già da tempo La Gerusalemme liberata e Il pastor fido avranno raccolto la polvere del tempo sui loro alti scaffali, solenni e non lette antichità storiche”

Il segreto del successo di Casanova non è il modo di descrivere e raccontare la propria vita, dice Zweig, ma il modo in cui la visse!

Mentre altri letterati hanno sacrificato gran parte dell’esistenza alla costruzione  della propria immortalità, Casanova non ha rinunciato “a un briciolo della propria gioia, a un’ora del suo sonno, a un minuto del suo piacere.

Solo quando, ormai vecchio e malandato, è ormai messo alla porta da tutti, oltre che respinto e deriso dalle donne, decide di scrivere la sua storia.
Per intrattenere se stesso, per crearsi, attraverso quelle pagine, “un surrogato della vita che gli veniva a mancare”.

E che storia viene fuori da quelle pagine!

Cio’ che altri devono inventare, lui lo ha appreso respirando.…[…] Nessun poeta del suo tempo ha inventato tante situazioni e variazioni quante ne ha vissute Casanova e nessun uomo si è mai lanciato attraverso curve così ardite attraverso tutto il secolo”

Raramente- scrive Zweig -i poeti hanno una biografia e ugualmente di rado gli uomini che ne hanno una sono capaci di raccontarla.

“Casanova rappresenta una meravigliosa eccezione, quasi unica nel suo genere : un uomo appassionato, una memoria dannata, un carattere senza freni, che si mette a raccontare la propria grandiosa vita senza vincoli morali, senza malefici poetici, senza ricami filosofici e invece con tutta obiettività, proprio com’è stata: fervida, rischiosa, lasciva, ma sempre emozionante e piena di imprevisto.


E la racconta non per ambizione letteraria o per millanteria, per fare penitenza o per esibizionistica brama di confessione, ma senza ritegni e fisime, proprio come un veterano che racconta la sua vita all’osteria con una pipa tra i denti”


E’ una fortuna che Casanova non abbia nemmeno per una attimo pensato a “scrivere per la gloria”, cioè per le generazioni future. (“ Solo chi non persegue alcun scopo arriva ad una sincerità così spregiudicata e perciò così elementare”).

” Lo si può disprezzare per la sua mancanza di principi e per la poca serietà morale, lo si puo’ smentire come storico e disconoscere come artista.

Impossibile, però, farlo morire di nuovo, perchè, malgrado tutti i poeti e pensatori, il mondo non ha inventato da allora un racconto più romantico della sua vita e nessun personaggio più fantastico di Casanova “.

Specchio delle mie trame ( uno straordinario libro di interviste a 10 scrittori italiani)

C’è un tema assai dibattuto in letteratura: in che misura è giustificato l’interesse per la vita di uno scrittore?
Conoscere traumi dell’infanzia, vicissitudini amorose, rovesci economici,disturbi digestivi e difficoltà respiratorie di un poeta o di un romanziere ci mette in condizione di capire ed interpretare meglio al sua opera?

C’è chi dice di si’ , chi dice di no.

Una cosa pero’ è certa: che ricevere informazioni sulla vita degli scrittori – al di la’ delle chiavi di lettura che queste possono offrire o meno sulla loro opera – puo’ essere istruttivo e divertente.

E infatti molto istruttivo e divertente è il libro di Bruna Durante “Specchio delle mie trame“, pubblicato da Mimesi.

Il libro contiene dieci interviste a dieci scrittori italiani : Eraldo Baldini, Gianni Biondillo, Giancarlo De Cataldo,Giorgio Faletti, Marcello Fois, Carlo Lucarelli, Raul Montanari, Santo Piazzese, Andrea G. Pinketts, Gaetano Savatteri.

Dice Bruna Durante:

bru       “Anni fa sono andata con alcuni amici scrittori ad un festival di      letteratura in Francia e lì, lontano da casa, dalla fama (per alcuni) sono emerse le loro vere personalità .
Così ho pensato che sarebbe stato divertente far conoscere ai lettori, le loro vite, le loro famiglie di origine, ciò che pensano della vita in generale, insomma da dove nascono quelle storie, a volte terribili, che scrivono.
Ecco, se il libro è interessante ed emozionante il merito è dei miei amici scrittori.
Io ho solo trascritto ciò che loro mi hanno raccontato confidandomi i loro segreti.”
 

Diciamo subito che Bruna Durante ci sa fare.
In particolare le vanno riconosciuti due meriti: il primo è quello di essere riuscita a creare con gli intervistati un rapporto di grande confidenza ( molti di loro si raccontano a lei come si racconterebbero ad una vecchia amica, di quelle alle quali è inutile raccontare balle perchè, appena lo fai, ti sgamano subito e ti ridono in faccia).
Il secondo merito è che fa sempre le domande “giuste”.
Quelle che noi lettori vorremmo fare.

Ma, come dico sempre, un libro è come un melone, è meglio estrarne un tassello per sapere quanto è buono, piuttosto che guardarlo dall’esterno o palpeggiarlo.Così rimando tutti alla lettura di questo breve squarcio di una delle interviste del libro: quella a Raul Montanari.

E poi ditemi se non è divertente e istruttiva….

Cosa deve avere un libro per piacerti?

Fondamentalmente tre cose: o la scrittura o la storia o i contenuti. Se poi ci sono tutt’e tre ancora meglio.

Aldo Busi per esempio è uno scrittore di scrittura perché quasi non racconta storie, infatti è impossibile fare film dai suoi libri: se togli la scrittura ti rimane poco da trasportare al cinema.

Niccolò Ammaniti è uno scrittore di storie, ha fatto un grande e intelligente lavoro di sottrazione nella scrittura che caratterizza il suo stile veloce, ma è evidente che il lettore di Ammaniti è più interessato alla storia che non alla scrittura, infatti i libri di Ammaniti possono diventare film.

Poi ci sono libri e autori in cui c’è poca scrittura, poca storia ma viene detta una cosa talmente importante, talmente forte che quel libro vale la pena di leggerlo comunque, come per esempio il primo libro di Michel Houellebecq, Estensione del dominio della lotta, bruttissimo, con una storia assurda, personaggi insopportabili e una scrittura sciatta senza ancora la finezza che l’autore ha poi acquisito ma con un concetto molto originale che non avevomai trovato messo al centro di un testo narrativo con la forza con cui lo fa Houellebecq. 

Lo scopo dello scrittore è quindi quello di comunicare un’impressione che non si potrà più dimenticare?

Tutti gli scrittori sognano di riuscire a scrivere almeno un libro indimenticabile.

Per farlo ci vuole bravura, coraggio e anche fortuna ma soprattutto bisogna saper imitare il reale perché la natura fondamentale del raccontoè l’imitazione della realtà, non quella quotidiana però.

Con i mattoni del reale si costruiscono edifici narrativi che nella realtà non esistono e per questo sono così interessanti da abitare sia per lo scrittore sia per il lettore.

Anche i Formalisti russi sostenevano che l’operazione fondamentale del narratore non è raccontare la storia, ma restituire al lettore il mondo comese il lettore lo vedesse per la prima volta. 

Gli scrittori allora riescono a vedere il lato oscuro dell’umanità che gli altri non vedono?

Innanzitutto lo scrittore deve conservare lo stupore che hanno i bambini, riuscire a vedere le cose con uno sguardo vergine.  

Goethe diceva che bisogna conservare la capacità di meravigliarsi, che poi è la teoria sartriana de La nausea.

Poi ti dò due risposte: la prima è che ci sono un sacco di persone che hanno la stessa sensibilità degli scrittori, a volte anche superiore ma la differenza tra uno scrittore ed una persona che non lo è risiede nella capacità espressiva: sentire sentiamo tutti, il problema è scrivere.

L’altra risposta è che sicuramente – come diceva Thomas Mann – lo scrittore deve avere nei confronti della vita e delle esperienze che fa, che sono più o meno uguali a quelle degli altri, una distanza di osservazione in modo da poter adoperare poi quelle esperienze nella narrazione. 

Vuoi dire che lo scrittore vampirizza la propria vita e quella degli altri?

Esatto, ed è anche un vampiro schizofrenico.

La metafora perfetta del rapporto dell’artista con la propria vita non è in un libro ma in una scena del film Amadeus di Milos Forman: Mozart, tubercolotico, alcolizzato, torna a casa una mattina dopo aver gozzovigliato con gli attori con cui lavoraa Il Flauto Magico e si accorge che sua moglie Costanza se n’è andata portando con sé suo figlio.

Disperato, fa la cosa più umiliante per un uomo che è quella di andare in ginocchio da sua suocera, quella terribile suocera grassa con la faccia da Austriaca che quasi non lo fa parlare e lo aggredisce gridando:”Tu sei un mostro, un mostroooo!!”, ma mentre la suocera urla si vede Mozart che guarda la bocca della suocera inquadrata sempre più da vicino, e improvvisamente i suoi strilli diventano i gorgheggi sublimi di un’aria della Regina della Notte ne Il Flauto Magico.

Ecco, Mozart è lì nella merda più totale, eppure trasforma la merda in capolavoro. Anche a me è successa una cosa analoga. 

E cioè?

Stavo con una ragazza che mi piaceva molto, litighiamo e lei mi dimostra che sono un pezzo di merda e mentre l’ascolto, disperato, c’è un angolino del mio cervello che pensa velocemente: ”Mmh, perfetto, questo è ottimo per il dialogo tra X e Y che devo mettere nel capitolo quattro”.

“Dite ai vostri figli che sono cattivi, molto più cattivi degli altri ragazzi….”

Capita spesso, quando si parla con gli amici, di confrontarsi su qualcosa che è comune a tutti noi, l’educazione dei figli.

Tutti abbiamo ricevuto un’educazione e molti di noi si sono trovati anche nella necessità di doverne impartire una ai propri figli.

Educare i figli e’ un mestiere difficile, come sappiamo. Si fanno errori su errori. Spesso involontari. Sottovalutiamo l’impatto di azioni o parole, che a noi sembravano neutre e prive d’effetto, ma che invece lasciano il segno.

E ancora più spesso si fanno errori volontari, cioè determinati da errate ( ma rocciose) convinzioni educative.

Detto questo, non è che voglia propinare a chichessia le mie teorie educative.

Voglio solo citarvi il passo di un romanzo che sto leggendo.Il romanzo si intitola “Così muore la carne” (The Way of All Flesh) dell’inglese Samuel Butler ( 1835 – 1902).

Il libro e’ stato scritto tra il 1873 e il 1885, ma Butler non volle pubblicarlo mentre era in vita ( uscì infatti nel 1903, ad un anno dalla sua morte).

E’ un libro che mette alla berlina in maniera brillante e feroce il modo di vivere e le convenzioni dell’epoca vittoriana.

Uscito a tre anni dalla morte di Oscar Wilde – omosessuale come Butler e altro e più celebre sbeffeggiatore del vittorianesimo – il libro fu immediatamente percepito come eversivo e dirompente.

Ma ecco il brano ( che evidenzia il feroce sarcasmo dell’autore nei confronti dell’educazione tipicamente vittoriana ricevuta):

“Ai genitori che vogliono condurre vita tranquilla io dò questi consigli: dite ai vostri figli che sono cattivi, molto più cattivi degli altri ragazzi. Poi, scegliete qualche ragazzo di vostra conoscenza da proporre a modello di perfezione, e fate in modo che i vostri figli siano assolutamente convinti della loro inferiorità. 

Voi siete tanto meglio armati di loro, che è impossibile possano resistervi. Questo si chiama influenza morale e voi potrete tormentarli quanto vi piaccia. 

I figli credono che voi sappiate tutto e non vi hanno ancora colti a mentire tante volte da sospettare che voi non siate la persona virtuosa e scrupolosamente sincera che vi vantate di essere. Nè possono ancora sapere quanto siete vili, nè quanto presto vi arrendereste, se solo sapessero combattervi con persistenza e abilità.

Siete voi che avete i dadi in mano e che li lanciate, non esitate a truccarli. Insistete con loro sugli incalcolabili benefici che avete loro conferito, anzitutto per averli messi al mondo quali figli vostri, piuttosto che di altri. 

Siete voi che avete le carte buone; e potete sempre barare; se le giocate anche solo con un minimo di avvedutezza vi troverete a capo di una famiglia felice, unita, timorosa di Dio.”

Sandro Bonvissuto, uno scrittore destinato a lasciare un segno.

Ho conosciuto Sandro Bonvissuto prima di leggere il suo libro d’esordio, “Dentro” ( Einaudi, 2012)dentro
Ero a Nazzano, al Festival letterario “Un fiume di storie”.
Sandro era lì per presentare il suo libro.

Mi ha colpito subito una delle prime cose che ha detto: “Scrivo i libri che vorrei leggere”.
Una frase che ci piacerebbe sentire spesso da uno scrittore.
E ci piacerebbe ancora di più se gli scrittori che la pronunciano poi la mettessero in pratica.
Perchè, diciamolo una volta per tutte, il tempo del lettore è prezioso.
Soprattutto adesso che le fonti di divertimento alternativo – o di distrazione se vogliamo dirla così – sono innumerevoli.

Ho avuto modo, a quel festival, di conoscere un po’ Sandro Bonvissuto.
Ho quindi iniziato a leggere il suo libro non solo per verificare se lo aveva scritto seguendo la regola che aveva enunciato, ma anche perchè contagiato dalla sua simpatia umana e dalla sua vitalità, travolgenti.

Leggendo il libro, poi, ho avuto modo di verificare che Sandro quella regola non l’aveva persa di vista nemmeno un secondo.

Sostengo da sempre che, parlando di un libro, bisogna evitare di raccontare troppo la trama ( e infatti non lo farò).

Trovo più utile, rivolgendomi a lettori incalliti, come questo sito ha la pretesa di fare, dire chi mi ricorda l’autore del libro di cui stiamo parlando.
Con il rischio – e’ già accaduto più volte – che qualcuno mi dica che esagero, che il paragone è improponibile, o addirittura blasfemo.
Pazienza. E’ un rischio che mi assumo.

Il fatto è che il libro di Sandro Bonvissuto mi fa venire in mente due grandissimi : Franz Kafka e Raymond Carver.
Penso anche che un libro è come un melone: se vuoi saperne qualcosa in più, devi fare un tassello e mangiarne un po’.
Ecco perchè trascrivo qui l’incipit di “Dentro”, mi sarà più facile poi spiegare perchè ho pensato a Kafka e a Carver.

“Mi presero le impronte delle dita. Dopo aver raccolto tutte le mie generalità e fatto le foto le fotografie, mi presero anche le impronte delle dita delle mani. E ora stavano su un foglio, sopra il tavolo, proprio davanti a me; sembravano un segreto svelato, una cosa che, fino a poco prima, era intima e privata, e che invece d’ora in avanti tutti avrebbero potuto vedere. Seanza dovermi chiedere niente.
Le guardavo. Era come se mi avessero tolto qualcosa di mio per sempre, come se quelle impronte me le stessero rubando. Per un attimo provai il desiderio di riprendermele. Ma mi guardavano tutti. Avrei dovuto quindi lasciarle lì, come un’altra cosa in più che si aggiungeva a tutte quelle che avevo già perso o dimenticato in qualche posto. Da quel momento avrebbero continuato a vivere ma senza di me. E io senza di loro”.

Non vi viene in mente “Il processo” di Kafka? sandro2
Anche lì, il protagonista viene arrestato e non si sa perchè. ( “Qualcuno doveva aver diffamato Josef K., perché, senza che avesse fatto nulla di male, una mattina venne arrestato).
Oppure “La metamorfosi” sempre di Kafka? (“Gregor Samsa, destandosi un mattino da sogni inquieti si trovò trasformato nel suo letto in un enorme insetto ripugnante” scrive Kafka, ma non ci spiega perchè è accaduta questa cosa incredibile a angosciante).

E non ricorda Carver, invece,  lo stile di scrittura ?
Frasi brevi, senza subordinate, dense di fatti. Secche e numerose, con un flusso costante, come se fossero il risultato di un crepitio da mitragliatrice.

“La letteratura è ritmo” ha detto una volta Aldo Busi, durante una trasmissione televisiva, alzandosi subito dalla poltrona per mimare un passo di danza.
Ecco, la letteratura di Sandro Bonvissuto, è ritmo. Inizi a leggere e subito ti senti trasportato. Grande tensione narrativa e stile inconfondibile. Penso sia nato uno scrittore destinato a lasciare il segno.

FILIPPO CUSUMANO

LA PIRANDELLIANA STORIA DELLE CENERI DI PIRANDELLO

Pirandello caricaturato da Levine

Quando il 10 dicembre del 1936 morì, i figli trovarono mezzo foglietto di carta spiegazzato in cui Luigi Pirandello aveva scritto : « I. Sia lasciata passare in silenzio la mia morte. Agli amici, ai nemici preghiera non che di parlarne sui giornali, ma di non farne pur cenno. Né annunzi né partecipazioni. II. Morto, non mi si vesta. Mi s’avvolga, nudo, in un lenzuolo. E niente fiori sul letto e nessun cero acceso. III. Carro d’infima classe, quello dei poveri. Nudo. E nessuno m’accompagni, né parenti, né amici. Il carro, il cavallo, il cocchiere e basta. IV. Bruciatemi. E il mio corpo appena arso, sia lasciato disperdere; perché niente, neppure la cenere, vorrei avanzasse di me. Ma se questo non si può fare sia l’urna cineraria portata in Sicilia e murata in qualche rozza pietra nella campagna di Girgenti, dove nacqui ».

L’ingresso del Verano

I punti uno, due e tre furono eseguiti a puntino, con grande scorno del regime- si dice dello stesso Mussolini- che avrebbe voluto fare un gran funerale fascista in pompa magna. Prima di rispettare le volontà espresse nel quarto punto, invece, trascorsero decenni e peripezie, e avventure e traversie  degne proprio della penna di Pirandello. Ma procediamo con ordine.

IL PRIMO FUNERALE- Due giorni dopo la sua morte un carro d’infima classe  portò una cassa d’infima classe al forno crematorio . Ma nessuno se la sentì di assecondare il suo desiderio di spargere al vento le ceneri, pratica a quei tempi inaudita prima ancora che illegale e avversata dalla Chiesa. Le ceneri furono allora raccolte in un’urna e portate al cimitero romano del Verano, dove rimasero per undici anni

Un vaso greco del V secolo a.c.

IL SECONDO FUNERALE- A guerra finita, nel 1947, il sindaco DC di Girgenti, nel frattempo divenuta Agrigento, Lauricella, rivendicò per la sua città l’onore di dare sepoltura ed esequie cristiane e solenni alle ceneri dell’illustre concittadino. Si rivolse niente di meno che al democristiano presidente del consiglio dell’epoca , Alcide De Gasperi, che – malgrado le notevoli difficoltà che in cui versavano ancora i trasporti – procurò un aereo militare americano per il trasferimento da Roma ad Agrigento. Ad accompagnare i resti del grande drammaturgo fu incaricato il prof. Gaspare Ambrosini, noto pirandelliano e pirandellologo e futuro presidente della prima Corte Costituzionale. Sistemate le ceneri in un prezioso vaso greco del V secolo avanti Cristo e imballatolo ben  bene, a prova d’urti, in una cassa di legno, l’aereo era pronto a partire quando una decina di persone- tutti siciliani- si avvicinarono all’aereo poco prima del decollo chiedendo di poter usufruire di un passaggio. Il professore, conscio dei gravi problemi di spostamento di quei tempi parlamentò coi piloti dell’ Air Force e ne ottenne il consenso.

Gaspare Ambrosini

Mentre si sistemavano , qualcuno chiese ad Ambrosini cosa contenesse quella  cassa così ben imbracata, e avutane la spiegazione disse: “Pirandello, quello che aveva chiesto che le sue ceneri  fossero disperse al vento? Non è che il destino ha stabilito di accontentarlo proprio oggi…..” Calò un silenzio spettrale, mentre i  passeggeri si guardavano l’un con l’altro,e sotto i sedili alzavano l’indice e il mignolo di una mano. Poi , appena le eliche cominciarono a girare, uno di loro chiese di scendere. Ambrosini parlò con i piloti, questi sospesero la procedura di decollo e il passeggero scese. Inutile dire che uno dietro l’altro lo seguirono anche gli altri nove. A questo punto i piloti si insospettirono e chiesero al professore spiegazioni. Questi le diede, ripetendo più volte la parola superstitions, che i due piloti ripetevano come una eco, scambiandosi occhiate d’intesa. Fu così che i due,  di cui si sospetta avessero antenati siciliani , o napoletani, accampando varie scuse, si rifiutarono di partire.

Un aereo da trasporto USAF della II guerra mondiale

Al prof Ambrosini, accompagnato dalla sua inseparabile cassa, non restò che salire su un  treno: lo aspettava un giorno intero di viaggio. Tutto sarebbe filato liscio se , svegliatosi da un breve sonno, non si fosse accorto che la cassa era sparita. La cercò vagone per vagone e finalmente la trovò in mezzo a quattro individui che l’avevano utilizzato come tavolo per giocare a carte. Ignari, ovviamente, di fare una partita “col morto”, e che morto:  un premio Nobel. Comunqe sia la recuperò. Arrivata finalmente ad Agrigento, l’Odissea della cassa non era ancora finita. Il vescovo della città Giovan Battista Peruzzo si rifiutava di dare la benedizione ad un vaso greco. Niente benedizione , niente funerali solenni: tutto l’organizzazione politico-propagandistica DC messa in piedi dal sindaco se ne andava in fumo. All’ultimo momento, quando la rinuncia ai funerali sembrava inevitabile, il vescovo si convinse a promettere la benedizione se la cassa con le ceneri fosse stata ospitata in una bara cristiana. Ma i cassamortari di Agrigento non avevano bare pronte; ci si dovette accontentare di una piccola bara bianca , di quelle per bambini. Ma lì la cassa non entrava. Allora fu necessario estrarre il vaso e assicurarlo per bene dentro la piccola bara. E fu così che finalmente Luigi Pirandello ebbe il suo secondo funerale. In pompa magna, come non avrebbe mai voluto.

Una caricatura di Pericoli

IL TERZO FUNERALE. Il vaso greco e le sue ceneri vennero conservati nella casa natale di Pirandello, in attesa che il progettato monumento funebre a lui dedicato fosse realizzato in località Caos, proprio sotto il famoso pino al quale il drammaturgo era tanto affezionato  Ma si sa come vanno le cose in Italia, l’opera fu pronta solo quindici anni dopo, nel 1962. E fu così che le ceneri di Pirandello ebbero la loro definitiva sistemazione e il loro terzo funerale. Presenti autorità civili e religiose, e personalità della cultura del calibro di Salvatore Quasimodo e Leonardo Sciascia, un cilindro d’alluminio dove erano state travasate le ceneri fu prima benedetto e poi murato dentro il monumento .

Il monumento funebre di Pirandello

EPILOGO. Ma non è finita. Si racconta che l’incaricato del travaso, un impiegato del comune conosciuto come il dott Zirretta, dovette sudare le sette camice per portare a termine l’operazione. Dopo tanti anni, ventisei per l’esattezza, le ceneri si erano calcificate all’interno del vaso. Armatosi di scalpello, Zirretta, aiutato da un paio di assistenti, le ridusse nuovamente in polvere e le versò nel contenitore di metallo. Ma il contenitore era troppo piccolo. Ne avanzava un discreta quantità. Che fare? Deve essersi accesa una lampadina nella mente dell’impiegato del comune agrigentino. Una lampadina luminosa, brillante. Prese le ceneri rimaste, le versò in un giornale e  si diresse verso un dirupo, lì vicino, che dava sul mare. Ma non fece in tempo ad arrivarci: una folata di vento si portò via le ceneri. E fu così che le ultime volontà di Pirandello –  il mio corpo appena arso, sia lasciato disperdere-furono (almeno in parte) rispettate.

Il museo archeologico S. Nicola di Agrigento

Tutto è bene quel che finisce bene, direte voi. E invece non è ancora finita. Perché nel 1994 si scoprì che il famoso vaso greco del V secolo, conservato nel museo  S.Nicola di Agrigento, conteneva ancora un po’ di ceneri di Pirandello. Evidentemente lo scalpello del dott Zirretta non aveva funzionato sino in fondo. Si decise allora di sottoporre i resti dei resti di don Luigi all’esame del DNA. E ,sorpresa, si scoprì che solo una piccola parte di quelle ceneri appartenevano al Maestro. Il rimanente, la maggior parte cioè,  ad altri corpi, non identificabili, che evidentemente erano state cremati nel lontano 1936 insieme a lui

Confortati dalla scienza possiamo oggi  dire, pirandellianamente, che quelle ceneri sono e non sono di Pirandello. E che nell’urna di metallo interrata al Caos, insieme a Pirandello ci sono tante altre persone sconosciute, dei signori nessuno. Come dire Uno, nessuno e centomila .

La macchina da scrivere da cui Pirandello non si separava mai.
ONOFRIO PIRROTTA.

Sono le news, bellezza!

In che modo sta cambiando il modo di costruire l’informazione?

Una volta l’informazione era il prodotto di un solo artefice. Il giornalista andava a cercare la notizia, la riportava su un giornale e quel giornale diventava il mezzo di divulgazione di quella informazione.

Niente filtrava di quella notizia, se non in ambiti estremamente circoscritti prima dell’intervento del giornalista, che era di fatto “scopritore” e “diffusore” dell’evento che solo grazie a lui e al suo intervento diventava di dominio pubblico.

La televisione non aveva cambiato questo aspetto della catena di distribuzione delle news.

Il “demiurgo”, lo scopritore di notizie era sempre il giornalista:  semplicemente il mezzo televisivo era enormemente più potente e pervasivo di quello cartaceo e aveva a sua disposizione la forza delle immagini filmate.

Oggi è evidente che la catena di produzione delle informazioni è radicalmente cambiata rispetto all’epoca, ancora a noi così vicina nel tempo, del giornalista “demiurgo”.

Ce lo dice con grande incisività e chiarezza l’ultimo libro di Michele Mezza “Sono le news, bellezza! Vincitori e vinti nella guerra della velocità digitale” ( Donzelli editore)

Siamo all’inizio di un processo di liberalizzazione dell’individuo– ci dice l’autore, eminente giornalista e docente di Scienza della comunicazione all’università di Perugia e di Roma- di ogni individuo, che ci porterà a riconfigurare ruoli e figure sociali . A cominciare dagli intellettuali, che non a caso, sono i più scettici”.

La rete, lo puntualizza già Derrick De Kerckhove nella prefazione, è diventata in brevissimo tempo il luogo in cui si costruisce grandissima parte dell’informazione.

La fabbrica e non solo la piattaforma di distribuzione.

Ci sono stati anni, lo ricordiamo tutti, in cui Internet sembrava un’opportunità per pochi, uno strumento per professionisti, per iniziati.

Ve la ricordate l’epoca della cosidetta bolla specutiva legata alla new economy? Stiamo parlando di appena una decina di anni fa….

Era l’epoca in cui bastava avere la notizia che un’azienda aveva creato un suo sito, magari anche un semplicissimo  accesso informatico, per vederne schizzare alle stelle il titolo.

Poi quella bolla si e’ sgonfiata anche perchè ci si e’ resi conto che quel modo di lavorare non solo era “necessario” per tutti gli addetti ai lavori, ma era anche semplice e alla portata di tutti.

Chi di noi in quegli anni, sentendo un amico o un vicino vantarsi di avere un blog, non pensavamo a lui come ad uno “smanettone”, ad una persona cioè dotata di grandissime tecnicalità lontanissime dalla nostra portata?

Salvo poi scoprire, una volta entrati in punta di piedi in quel mondo, che aprire un blog è cosa semplicissima e alla portata di tutti.

Piano piano quei siti e quei blog,  nati come sede di distribuzione e di commento delle notizie acquisite dal giornalista demiurgo sono diventati, però, fabbrica di notizie a loro volta.

Insomma la rete in brevissimo tempo da vetrina di esposizione delle news e’ diventata fabbrica, il luogo in cui quelle news vengono “prodotte”.

E il grande comunicatore di massa, il giornalista della carta stampata e della tv, che conserva- chissà ancora per quanto- il privilegio di disporre dei mezzi più potenti- da scopritore della notizia è diventato prevalentemente “selezionatore” delle notizie “scoperte” o lanciate da altri.

E’ il tramonto del giornalismo?

No, è semplicemente una mutazione genetica.

Un cambio di passo necessario per chi fa questo mestiere.

Maneggiare le teconologie informatiche diventa una necessità, lo strumento principe,  non più una semplice  opzione.

Quello che una volta si definiva il fiuto giornalistico, cioè la capacita’ di scoprire la notizia, adesso è diventata la capacità di pescare nel mare magnum della rete, con il compito non facile di distinguere, nel mare magnum della rete, le notizie vere dalle bufale.

Senza dimenticare che anche una bufala, quando sono in molti a crederci perchè ben costruita  e ben distribuita attraverso la rete, può diventare una notizia….

Chiudo citando un passo di un’intervista fatta da Grazia Gaspari a Michele Mezza per il giornale on line AGORAVOX:

Michele, un’idea di fondo gira, appunto, per questo libro: la rete non è una vetrina, ma una fabbrica, e chi non lo capisce la subisce e non la sfrutta nelle sue vere potenzialità. Cosa comporta praticamente?

In politica, ad esempio, molto. Proprio in questi giorni abbiamo sotto i nostri occhi una straordinaria storia della rete: la rivoluzione egiziana. Al Cairo, come a Tunisi, si è visto che la rete non è solo un megafono, ma è opratutto un soggetto sociale, un luogo che forma identità e bisogni. In piazza e’ scesa la “gioventù connessa” egiziana che rivendicava spazi alle proprie ambizioni.

La stessa cosa vale per la grande manifestazione della donne di domenica scorsa “Se non ora quando?”, una manifestazione sostanzialmente preparata e sbocciata in rete. Nessun giornale o tv ne aveva parlato, nessuna agenzia di stampa. Eppure un milione di persone sono scese in piazza in tutta Italia. Non solo, decine e decine di manifestazioni si sono svolte in tutto il mondo… Tokio compresa.

FILIPPO CUSUMANO

Frasario essenziale per passare inosservati in società

Sempre, mentre porto avanti nuove letture, rileggo anche quelle che mi hanno colpito.

Rileggo oggi un libro di Ennio Flaiano, “Frasario essenziale per passare inosservati in società”, e mi soffermo sulla prefazione, scritta da uno scrittore di straordinaria intelligenza come Giorgio Manganelli.

Non posso riportare tutti i contenuti di questa prefazione perchè è abbastanza lunga, ma ho scelto di raccontarvene una parte, che ritengo molto significativa.

Cosa ci dice Manganelli? Ci dice che Flaiano è un maestro nell’arte di mettere insieme le due categorie dello SPIRITUALE e dello SPIRITOSO.

E fa due esempi, citando due frasi di Flaiano

Prima frase:

“Oggi il successo colpisce soprattutto gli uomini migliori”

Una bon mot di rara tristezza, alleggerito però da quell’espressione – “colpisce”– che Manganelli definisce “rapida e innocente”.

In quella frase, aggiungo io c’è tutto Flaiano: malinconia e stile, tristezza e humor.

Ed ecco la seconda frase. E’ stata scritta da Flaiano in un momento particolae della sua vita, subito dopo un ricovero per un principio di infarto.

Scrive Flaiano:

“La morte ha la faccia di certe signore che telefonano al bar con un gettone e ad un certo momento, senza smettere di telefonare, vi fanno un gesto di saluto e di sorpresa”

Un’immagine di singolare grazia e diimplicita terribilità, ci dice Manganelli. Un caso, aggiunge, in cui “ lo spirituale soverchia, ma non erode lo spiritoso.

Questa capacità che Flaiano ha di affacciarsi sull’orlo del tragico per poi distrarsene e lambire subito dopo il ridicolo e il risibile è quella che fa di lui uno scrittore di straordinaria complessità .

Attento– dice Manganelli- come può essere attento un orafo, un miniaturista, un perfetto amanuense, alla piccola inquietutudine, a quel dolore portatile che può accompagnare una vita, che non è incompatibile col riso, con la noia , con la morte”


Filippo Cusumano