America di Kafka

America di Franz Kafka

Karl Rossmann, un allegro sedicenne, viene mandato dai genitori in America perché dimentichi una cameriera che ha messo incinta.

Ben diverso da altri protagonisti della narrativa kafkiana, Karl è vitale, gioioso, ingenuo, non ancora scoraggiato e deluso. Si fida di tutti, si apre a tutti, ha bisogno d’amicizia, d’affetto e di parole come un cane e, se viene offeso, perdona.

Senza volerlo non vuole crescere. Crescere è l’orrore, la consapevolezza del bene e del male.

E’ stato un figlio obbediente e amoroso, devoto e diligentissimo. Non è il classico figlio in conflitto con il padre, tipo il Georg de La Condanna o il Gregorio de La metamorfosi .

Non cerca di uccidere metaforicamente il padre e di prenderne il posto in famiglia.

La colpa che gli vale la condanna, senza appello, all’esilio dalla sua famiglia, in realtà non è una colpa : stata la cameriera, una donna matura e navigata a braccarlo per settimane, costringendolo alla fine, senza che lui nemmeno lo desiderasse, ad un amplesso che Karl ha trovato addirittura ripugnanate.

E’ in pratica vittima di una violenza. E a questa violenza ne segue un’altra quella della cacciata dal tepore fisico e soprattutto affettivo della casa paterna.

Accolto con affetto da uno zio in America, viene da questi allontanato per una piccola mancanza ( non è rientrato a casa all’ora prefissata) non dipendente dalla sua volontà: ancora una condanna senza colpa.

In una delle pagina più strazianti e belle scritte da Kafka il giovane Karl, cacciato dallo zio e rifugiatosi in una sperduta locanda, contempla con nostalgia e dolore infiniti la foto dei suoi genitori, l’Eden di affetto e di calore dal quale è stato cacciato e a cui aveva creduto di essere stato riammesso grazie alla benevolenza dello zio.

Si unisce a questo punto a due vagabondi. Viene assunto come lift in un grande albergo e anche qui, dopo un po’, viene licenziato per una colpa che non è una vera colpa.

Torna dai due vagabondi fino a che non viene assunto dal “”Grande teatro”” di Okalhoma. A questo punto il romanzo, pubblicato postumo, si interrompe.

Tema principale del romanzo è la cacciata dall’eden: per ben tre volte nel romanzo il protagonista viene cacciato senza una vera colpa. (giustamente Piero Citati definisce America “un romanzo teologico con un triplo peccato originale”).

Diversamente da tutte le altre opere di Kafka, qui abbiamo un protagonista che invece di rassegnarsi alla condanna, ogni volta si rialza in piedi, pieno di fiducia in se stesso e in quello che gli riserva l’avvenire.

Il giovane Karl, diversamente dal Gregorio Samsa, che vive chiuso in una stanza e rappresenta una proiezione dell’autore, è estroverso, desideroso di aprirsi al reale, amante dell’avventura oltre ogni limite, pronto a scegliere come compagni di strada lavativi e canaglie d’ogni genere.

Leggere Kafka di solito è molto impegnativo: i personaggi che vengono descritti e i fatti che vengono raccontati hanno un’altissima concentrazione metaforica. Se si vuole capire fino in fondo quello che si legge occorre andare al di là della trama e avere un buona conoscenza dell’uomo Kafka e della sua visione della vita

America, da questo punto di vista è un’eccezione: qui i significati e le allusioni ci assalgono con meno intensità, c’è più spazio per la gioia del racconto per il racconto.

Scrivendo questo romanzo, Kafka aveva in mente come modello uno scrittore lontanissimo da lui, al quale tuttavia, in questo romanzo, si avvicina sorprendentemente: Charles Dickens

Karl Rossman è lontano anni luce da Josef K. O da Gregorio Samsa.

Ma guarda la vita con lo stesso sguardo di David Copperfield e di Oliver Twist

Filippo Cusumano 

3 comments

  1. E’ uno di quei romanzi freschi da leggere tutto d’un fiato. Cos’è l’America per Kafka? Una sorta di lost Paradise come lo era per Pavese? Più che rialzarsi in piedi ogni volta che cade, a mio avviso rappresenta bene la fanciullezza del personaggio ancora ignaro del Male. E’ giusto vederlo come un parente stretto di Pip in “Grandi Speranze” Di Dickens.
    Una inattesa discontinuità è data dal finale, quando Carl si unisce ai teatranti dell’Oklahoma. Molteplici sono le interpretazioni date a quel finale, ma a mio avviso, forse il teatro-vita è un rifugio dalla vita-teatro.
    Grazie per i complimenti relativi al mio blog e ciao.

    1. Concordo! Anch’io ho avuto l’impressione che, più che altro, in America il punto di vista di Carl sia quello di un Kafka ancora giovane e speranzoso che la sua situazione affettiva possa migliorare. Non a caso America fu scritto nel 1912 e fu il primo romanzo da lui scritto.

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