Franz Kafka

Sandro Bonvissuto, uno scrittore destinato a lasciare un segno.

Ho conosciuto Sandro Bonvissuto prima di leggere il suo libro d’esordio, “Dentro” ( Einaudi, 2012)dentro
Ero a Nazzano, al Festival letterario “Un fiume di storie”.
Sandro era lì per presentare il suo libro.

Mi ha colpito subito una delle prime cose che ha detto: “Scrivo i libri che vorrei leggere”.
Una frase che ci piacerebbe sentire spesso da uno scrittore.
E ci piacerebbe ancora di più se gli scrittori che la pronunciano poi la mettessero in pratica.
Perchè, diciamolo una volta per tutte, il tempo del lettore è prezioso.
Soprattutto adesso che le fonti di divertimento alternativo – o di distrazione se vogliamo dirla così – sono innumerevoli.

Ho avuto modo, a quel festival, di conoscere un po’ Sandro Bonvissuto.
Ho quindi iniziato a leggere il suo libro non solo per verificare se lo aveva scritto seguendo la regola che aveva enunciato, ma anche perchè contagiato dalla sua simpatia umana e dalla sua vitalità, travolgenti.

Leggendo il libro, poi, ho avuto modo di verificare che Sandro quella regola non l’aveva persa di vista nemmeno un secondo.

Sostengo da sempre che, parlando di un libro, bisogna evitare di raccontare troppo la trama ( e infatti non lo farò).

Trovo più utile, rivolgendomi a lettori incalliti, come questo sito ha la pretesa di fare, dire chi mi ricorda l’autore del libro di cui stiamo parlando.
Con il rischio – e’ già accaduto più volte – che qualcuno mi dica che esagero, che il paragone è improponibile, o addirittura blasfemo.
Pazienza. E’ un rischio che mi assumo.

Il fatto è che il libro di Sandro Bonvissuto mi fa venire in mente due grandissimi : Franz Kafka e Raymond Carver.
Penso anche che un libro è come un melone: se vuoi saperne qualcosa in più, devi fare un tassello e mangiarne un po’.
Ecco perchè trascrivo qui l’incipit di “Dentro”, mi sarà più facile poi spiegare perchè ho pensato a Kafka e a Carver.

“Mi presero le impronte delle dita. Dopo aver raccolto tutte le mie generalità e fatto le foto le fotografie, mi presero anche le impronte delle dita delle mani. E ora stavano su un foglio, sopra il tavolo, proprio davanti a me; sembravano un segreto svelato, una cosa che, fino a poco prima, era intima e privata, e che invece d’ora in avanti tutti avrebbero potuto vedere. Seanza dovermi chiedere niente.
Le guardavo. Era come se mi avessero tolto qualcosa di mio per sempre, come se quelle impronte me le stessero rubando. Per un attimo provai il desiderio di riprendermele. Ma mi guardavano tutti. Avrei dovuto quindi lasciarle lì, come un’altra cosa in più che si aggiungeva a tutte quelle che avevo già perso o dimenticato in qualche posto. Da quel momento avrebbero continuato a vivere ma senza di me. E io senza di loro”.

Non vi viene in mente “Il processo” di Kafka? sandro2
Anche lì, il protagonista viene arrestato e non si sa perchè. ( “Qualcuno doveva aver diffamato Josef K., perché, senza che avesse fatto nulla di male, una mattina venne arrestato).
Oppure “La metamorfosi” sempre di Kafka? (“Gregor Samsa, destandosi un mattino da sogni inquieti si trovò trasformato nel suo letto in un enorme insetto ripugnante” scrive Kafka, ma non ci spiega perchè è accaduta questa cosa incredibile a angosciante).

E non ricorda Carver, invece,  lo stile di scrittura ?
Frasi brevi, senza subordinate, dense di fatti. Secche e numerose, con un flusso costante, come se fossero il risultato di un crepitio da mitragliatrice.

“La letteratura è ritmo” ha detto una volta Aldo Busi, durante una trasmissione televisiva, alzandosi subito dalla poltrona per mimare un passo di danza.
Ecco, la letteratura di Sandro Bonvissuto, è ritmo. Inizi a leggere e subito ti senti trasportato. Grande tensione narrativa e stile inconfondibile. Penso sia nato uno scrittore destinato a lasciare il segno.

FILIPPO CUSUMANO

Pubblicità

Franz Kafka e Felice Bauer- seconda parte: “Un innamorato misero ed estremamente scomodo”.

4. L’amore: i discorsi a distanza.

Le lettere di Kafka a Felice per certi versi assomigliano ad una partitura musicale.

Si parte con un adagio, costituito dalle prime lettere misurate e compunte, per arrivare al crescendo di quelle di poco successive.

Il corteggiamento da discreto si fa manifesto. Dalla cortesia e dal formalismo iniziale Kafka passa abbastanza presto ai toni quasi imperativi di chi, mettendosi in gioco ed esponendo i suoi sentimenti, si sente quasi autorizzato a pretendere di essere corrisposto.

Felice, in breve, da “Gentile signorina” ( 20 settembre1912) diventa la “Cara Signorina Felice” ( 1 novembre, ma già al 7 era diventata “Carissima”).

Prestissimo diventerà semplicemente “ cara” oppure “mia cara” o “carissima” con un crescendo che conduce alla lettera del 4 dicembre, che inizia con un “Oh, diletta, infinitamente amata”, per poi stabilizzarsi, nel semplice “cara”, ripetuto più volte nel corso della stessa lettera.

L’attrazione sentimentale di Kafka per Felice, nei primi tempi della loro relazione epistolare, appare come un fiume che sale giorno per giorno.

Il primo varco nel quale lo scrittore cerca di insinuarsi è quello del superamento del “lei”.
In una lettera dell’11 novembre troviamo la prima allusione
“Come è bello sentirsi dare del tu da Lei, sia pure soltanto in una citazione!” .

Nella lettera successiva, dello stesso giorno, il “lei” ed il “tu” si alternano.
Tre giorni dopo, quando, evidentemente l’avance è stata raccolta ed il tu ricambiato, il tema venne riproposto esplicitamente:

“ […] tanto più si riceve, tanto più bisogna temere su questa terra rotante. Dunque non può essere stato altro che il tu ad afferrarmi, quel tu per il quale ti ringrazio in ginocchio poiché la mia inquietitudine per te me lo aveva strappato e ora tu me lo ricambi tranquillamente […] Il “lei” scivola via come su pattini […] lo si deve inseguire di corsa con lettere e pensieri al mattino, la sera, di notte, mentre il tu regge, resta qui con la tua lettera che non si muove e si lascia baciare e ribaciare da me .”

Il passaggio ad una maggiore intimità diventa immediatamente motivo di nuove sofferenze per lo scrittore, ma anche l’abbrivio per nuove quasi ardite avance verbali

La sua lettera del 15 novembre esordisce così:

“Senti, il “tu” non è proprio d’aiuto come immaginavo. Oggi, dunque già al secondo giorno, non dà buona prova”.

Segue una lunga geremiade con le lettere di lei che non arrivano e lui che si dispera per l’ansia e gira agitato per i corridoi dell’Istituto per il quale lavora.

Ma la sera stessa, nel riprendere, questa volta da casa, la stessa lettera, scrive:

[…] “permetti, ma soltanto con l’immaginazione, e soltanto questa volta, che baci le tue dilette labbra”.

Rivelandosi decisissimo a fortificare ogni nuovo avamposto raggiunto, per poi passare a conquistare il successivo, pochi giorni dopo azzarda una nuova effusione:

“Posso dunque baciarti? Ma su questa misera carta? Sarebbe come spalancare la finestra e baciare l’aria notturna”.

Il giorno successivo si definisce “un innamorato misero ed estremamente scomodo”.

Frequentissime diventeranno da questo momento in avanti le frasi di compatimento per Felice sull’uomo che ha avuto la ventura di incontrare, evidenti tentativi di evocare da parte sua proteste o smentite ( che possiamo solo immaginare, essendo purtroppo andate perse tutte le lettere di lei).

In una lettera scritta il 23 dicembre arriva ad attribuirle la responsabilità di essere una “fidanzata modello” per sopperire alla sventura di avere “un innamorato così malconcio”.

“Se non hai le guance rosse, come vuoi che te le faccia diventar pallide, considerata che questa è la mia professione? Se non sei fresca, come dovrei renderti stanca, se non sei allegra come dovrò contristarti? Cara, mia cara, per amore, soltanto per amore, vorrei danzare con te, sento infatti che la danza, quest’occasione di abbracciarti e di girare insieme fa parte inscindibile dell’amore e ne è la vera e la pazza espressione”.

Si arriva prestissimo, come in tutte le storie d’amore ad uno scambio di ritratti.
Anche in questo caso è Kafka a fare il primo approccio:

“Allego un mio ritratto, potevo avere cinque anni, il broncio allora era uno scherzo, oggi lo considero segreta serietà”

Segue il preannuncio dell’invio di una sua foto più recente e, in chiusura della lettera, la richiesta di una foto dell’amata, anche solo in prestito.

Viene accontentato con l’invio, in occasione del Natale di un piccolo portafogli con la foto di Felice.
La lettera, spedita il giorno di Santo Stefano, inizia così con una esplosione di riconoscenza e di gioia:

“Il piccolo portafogli che mi hai regalato è miracoloso. Mi fa diventare un altro, un uomo migliore, più tranquillo. La possibilità di guardare il ritrattino dovunque io sia o almeno di estrarre il portafogli […] è anch’essa una nuova felicità che devo a te.”

La lettera si chiude in maniera scherzosa:

“Quando passi dal tuo fotografo digli che nessuno dei suoi ritratti riceve tanti baci quanto questo” .
Il “miracolo” del ritratto continua anche nei giorni successivi. Per giorni e giorni Kafka continua a tenere quel ritratto a portata di mano, per tirarlo fuori in qualsiasi momento.

“Talvolta il desiderio di te mi prende alla gola. Apro subito il portafogli e tu appari immediatamente cara e gentile al mio sguardo insaziabile […] Ti propongo di scambiare questi ritrattini una volta la mese. Tu ti modifichi, la stagione avanza, porti altri abiti…no,no cara, pretendo troppo, mi smarrisco. Devo essere contento di possedere questo ritrattino, del quale ti dovrei ringraziare in tutte le mie lettere”.

Le fotografie che gli arrivano da Berlino portano quasi al parossismo il suo sentimento di attrazione nei confronti di Felice, ma sono, come le lettere, un modo per tenerla a distanza.

In fondo solo 8 ore di treno separano i due innamorati: se Kafka volesse , non gli mancherebbero certo i mezzi ed il tempo per raggiungerla.
Impossibile negare l’autenticità del trasporto di lui nei confronto di Felice, difficile dubitare delle sue smanie e delle sue ansie, che esplodono in continuazione come fuochi d’artificio in tutto l’epistolario, soprattutto nella sua parte iniziale.

E’ un rapporto d’amore in piena regola nel quale trovano posto anche, come in ogni storia d’amore vissuta intensamente anche i tormenti della gelosia.

(…) “Sono geloso di tutte le persone della tua lettera”’ scrive il 29 dicembre 1912-“nominate e non nominate, uomini e ragazze, gente d’affari e scrittori ( naturalmente in modo particolare di questi).Sono geloso del rappresentante di Varsavia(…) sono geloso di quelli che ti offrono posti migliori , sono geloso della signorina Lindner ( …) sono geloso di Werfel…(..) Con tutte [queste persone] vorrei attaccar lite, non per fra loro del male, ma per allontanarle da te, perché tu ne sua libera, per leggere soltanto lettere nelle quali parli unicamente di te, della tau famiglia, delle tue piccole [nipoti] e beninteso! e beninteso! di me”.

Ma è impossibile anche allontanare un sospetto. Il sospetto che questa sia una storia con Franz Kafka protagonista che Franz Kafka scrittore vuole narrare a se stesso.
Gli anni di questa relazione, quasi del tutto epistolare, sono gli anni della massima fertilità creativa.

Sono gli anni in cui scrive La condanna, La Metamorfosi, Il disperso, Il processo.

Tutte opere di enorme valore scritte spesso in maniera febbrile, come se fosse posseduto da uno stato di trance e di grazia creativa che forse non ha uguali nella storia della letteratura.

Difficile pensare a queste lettere d’amore come ad un opera minore, al momento di riposo del guerriero.

Come dice Max Brod in una lettera a Felice, Kafka è “l’uomo che vuole l’assoluto, l’estremo di ogni cosa, l’uomo che non scende mai a compromessi….capace di stare mesi senza concepire una riga anziché accontentarsi di un mezzo termine o di uno scritto purchessia ( e magari buono)”.

E’ proprio in questa attrazione per l’assoluto che sta il motivo della distanza che Kafka con tutte le sue forze vuole mantenere fino alla fine tra sé e Felice.

Vive questa storia d’amore in maniera assolutamente coerente con la sua natura di romanziere, risoluto ad evitare non solo la fisicità del rapporto, ma anche la serialità di una comune vita borghese.

Fino a quando la tensione generata dalla distanza gli consente di alimentare, come farebbe con il più ambizioso dei suoi romanzi, la storia d’amore del Giovane Franz che si tormenta per le lettere che non arrivano, che soffre per un malinteso, che si esalta aprendo un portafogli e riempiendo di baci la fotografia dell’amata, la relazione prospera in un crescendo di successive esaltazioni.

Il giorno in cui si profilano una casa ed una vita comune la relazione perde il suo sapore di assoluto, si profila per lui l’incubo di una quotidianità claustrofobia come quella della sua vita con i genitori e all’Istituto delle Assicurazioni.

Ama con tutte le sue forze Felice ( o il Giovane Franz che sospira per lei) fintanto gli è possibile percepire quest’amore alla stregua della letteratura, cioè come una via di fuga.

Il giorno stesso in cui, con la sua ansia di appartenergli e diventare una parte della sua vita, Felice diventa la sua potenziale carceriera, la storia si chiude.

Si ha una prima anticipazione di quello che potrebbe essere l’epilogo della storia quando si avvicina, dopo mesi di lettere sempre più appassionate, la possibilità di un incontro fisico tra i due.

FILIPPO CUSUMANO

Una foto consumata dai baci ( ancora sulle lettere d’amore di Franz Kafka)

Franz Kafka, dopo pochissimo tempo dall’inizio del suo rapporto epistolare con Felice Bauer le chiede un ritratto

( lei abita a Berlino e lui a Praga, a 800 km di distanza e, in cinque anni di fidanzamento, si vedranno per pochissimi giorni, pur scrivendosi centinaia di lettere; v. il mio post qui)
Ecco come si approccia al tema lo scrittore:
“Allego un mio ritratto, potevo avere cinque anni, il broncio allora era uno scherzo, oggi lo considero segreta serietà”
Segue il preannuncio dell’invio di una sua foto più recente e, in chiusura della lettera, la richiesta di una foto dell’amata, anche solo in prestito.
Viene accontentato con l’invio, in occasione del Natale di un piccolo portafogli con la foto di Felice.
La lettera, spedita il giorno di Santo Stefano, inizia così con una esplosione di riconoscenza e di gioia:
“Il piccolo portafogli che mi hai regalato è miracoloso. Mi fa diventare un altro, un uomo migliore, più tranquillo. La possibilità di guardare il ritrattino dovunque io sia o almeno di estrarre il portafogli […]è anch’essa una nuova felicità che devo a te.”
La lettera si chiude in maniera scherzosa:

“Quando passi dal tuo fotografo digli che nessuno dei suoi ritratti riceve tanti baci quanto questo” .

Il “miracolo” del ritratto continua anche nei giorni successivi. Per giorni e giorni Kafka continua a tenere quel ritratto a portata di mano, per tirarlo fuori in qualsiasi momento.
“Talvolta il desiderio di te mi prende alla gola. Apro subito il portafogli e tu appari immediatamente cara e gentile al mio sguardo insaziabile […] Ti propongo di scambiare questi ritrattini una volta la mese. Tu ti modifichi, la stagione avanza, porti altri abiti…no,no cara, pretendo troppo, mi smarrisco. Devo essere contento di possedere questo ritrattino, del quale ti dovrei ringraziare in tutte le mie lettere”.
Le fotografie che gli arrivano da Berlino portano quasi al parossismo il suo sentimento di attrazione nei confronti di Felice, ma sono, come le lettere, un modo per tenerla a distanza.
In fondo solo 8 ore di treno separano i due innamorati: se Kafka volesse , non gli mancherebbero certo i mezzi ed il tempo per raggiungerla.
Ma la vera fidanzata di Franz è la letteratura…

Franz Kafka, l’avventura di scrivere raccontata alla fidanzata.

Nel 1912 Franz Kafka inizia una corrispondenza con una giovane Berlinese, Felice Bauer, con la quale si fidanzerà dopo qualche tempo.

Il rapporto tra i due che che si incontrarono raramente (in tutto una manciata di giorni in cinque anni!) fu molto tormentato, soprattutto per il timore di Kafka che il matrimonio potesse sottrarre spazio alla sua attività di scrittura.

In molte lettere è proprio la sua attività di scrittore che viene “raccontata” alla fidanzata.

Sin dalle prime lettere affiora il conflitto tra il Kafka che vorrebbe dedicare tutto il suo tempo a comunicare con la fidanzata e quello per il quale l’ispirazione letteraria è uno stato di grazia.

In una lettera dell’11 novembre del 1912, c’è un primo accenno al “dovere” di scrivere, che rischia di entrare in conflitto con il piacere della corrispondenza amorosa:

“E da ora in poi le scriverò soltanto lettere brevi […] anche perché devo impegnarmi fino all’ultimo respiro per il mio romanzo “.

La costruzione del romanzo sta procedendo con felicità e facilità di slancio creativo inusitate nella vita dello scrittore.

Il manoscritto de Il disperso gli sembra, dopo anni di tentativi andati a vuoto, come il primo solido punto d’approdo della sua arte.

” E’ questo il primo lavoro di una certa mole nel quale, dopo un tormento di 15 anni, sconfortato salvo qualche momento, mi sento al sicuro da un mese e mezzo in qua.

In una lettera di pochi giorni dopo ( 23 novembre) troviamo un riferimento a “La metamorfosi”, il lungo racconto iniziato da Kafka, mettendo temporaneamente da parte “Il disperso”

All’inizio della lettera si chiede se sia il caso di darlo da leggere a Felice:

“Dartelo da leggere? come faccio? anche se l’avessi già terminato. Scritto così è quasi illeggibile. […] Sarebbe bello mandarti questo racconto ed essere intanto costretto a tenerti la mano, perché la storia è un po’ paurosa. E’ intitolato Metamorfosi, ti incuterebbe molta paura e forse ne faresti a meno perché paura ti devo fare purtroppo ogni giorno con le mie lettere”.

Kafka scrive La metamorfosi in pochissime notti. L’eccitazione creativa che gli consente di concludere in un tempo brevissimo quello che forse è il più bel racconto del Novecento ed uno dei più belli della letteratura di tutti i tempi, è palpabile nella lettera successiva del 24 novembre.

“Ora è già arrivato un pezzo oltre la metà e io, in complesso non ne sono insoddisfatto, ma è nauseante oltre ogni limite, e queste cose, vedi, vengono dal medesimo cuore nel quale stai tu, quello in cui tolleri di soggiornare. Non esserne rattristata perché, si sa, quanto più vivo e quanto più mi libero, tanto più divento forse puro e degno di te, ma certo ci sono in me ancora molte cose da eliminare e le notti non possono essere lunghe abbastanza per questo lavoro che d’altronde è estremamente voluttuoso”

Quanti messaggi più o meno espliciti contiene il passo di questa lettera!

Primo : questo io sono, l’uomo che ti ama è lo stesso che produce” queste cose”, il cuore che soffre per te è lo stesso dal quale partono le storie che scrivo.

Secondo: più mi libero delle storie che ho dentro più sono degno di te.

Terzo: Molte sono le storie che albergano dentro di me e che devo tirar fuori ed il tempo che posso dedicare a questo è insufficiente

Quarto: portare alla luce questa parte di me è un piacere estremo.

Si delinea, per la prima volta, il potenziale conflitto tra il sentimento verso Felice e il divorante amore per la scrittura.

Kafka vede nel suo talento l’unica attrattiva ragionevolmente esibibile. Non c’è un passo delle sue lettere in cui esalti di se alcuna caratteristica fisica o morale. I toni nel parlare di sé sono sempre quelli dell’autoironia, quando non della più feroce autodenigrazione.

Ma quando arriva a parlare delle sue opere il tono cambia. Quando dice che di un racconto come La Metamorfosi, del cui valore è impossibile non sia stato pienamente consapevole, “non ne sono insoddisfatto”, il tono è un altro: quello di chi sa di essere un artista e pretende di essere considerato, quanto meno se non soprattutto, dalla sua amata come tale.

Ignoriamo il contenuto delle lettere di Felice, ma appare evidente da quelle che scrive Kafka che il suo interessamento per l’opera letteraria dell’amato è sempre assolutamente inferiore alle attese.

Illuminante una lettera del 30 dicembre del 1912. Kafka ha inviato a Felice La meditazione, una raccolta dei suoi scritti appena pubblicata.

Il libro è stato pubblicato forzando le resistenze dello scrittore, che non considera gli scritti contenuti in quella raccolta come le sue cose migliori.

Ma l’indifferenza di Felice lo ferisce crudelmente:

La delusione però non deriva dal giudizio negativo, che intuisce, ma dal fatto che nella lettera di Felice non v’è un cenno all’opera

“(..)Un tuo giudizio incerto mi sarebbe sembrato ovvio. Tu invece non hai detto niente, hai solo annunciato che avresti detto qualcosa, ma non lo hai fatto”.

Anche in questa lettera c’è un messaggio chiarissimo: se non ti piace il mio aspetto fisico, (v. il riferimento alla foto), non me ne importa nulla, perché non è sul mio aspetto che faccio affidamento per essere amato. Ma se non mi prendi in considerazione seriamente come scrittore, fino al punto che ritieni superfluo dirmi se un mio scritto ti piace o no, dai prova di insensibilità e mi costringi a mettere in dubbio il tuo amore per me.

Altre lettere sono interessanti per capire come il procedere nella stesura delle sue opere sia per Kafka un percorso assolutamente accidentato, con continui passaggi dall’estasi degli stati di grazia alla disperazione dei momenti di stanca.

In una lettera scritta nella notte dell’Epifania del 1913, paragona l’ispirazione ad un carro in grado di trasportare con leggerezza e velocità il peso del romanzo.

“Povera , povera cara, vorrei che tu non ti sentissi obbligata a leggere il misero romanzo che sto mettendo insieme tristemente. E’ terribile vedere come sappia modificare il suo aspetto; quando il peso ( con quale slancio sto scrivendo! Come volano le macchie d’inchiostro!) sta sopra il carro, mi sento bene, mi entusiasmo allo schiocco della frusta e sono un gran signore! Ma se mi cade giù dal carro(…) il peso sembra troppo greve per le mie povere spalle e allora preferirei piantare ogni cosa e scavarmi la fossa lì sul posto.”

G. Cusumano

“Lettera al Padre” di Franz Kafka

“Lettera al Padre” di Franz Kafka
Edizioni SE- Collana Piccola Enciclopedia

E’ impossibile capire Kafka senza scandagliare il suo rapporto con il padre.
Questo doloroso e tormentatissimo rapporto è all’origine del sentire di Kafka nei confronti delle cose della vita ed è la sorgente dalla quale scaturiscono, direttamente o indirettamente, tutti i temi della sua opera letteraria.
Il sentimento che domina lo scrittore quando pensa al padre è la paura.
“Caro papà, recentemente ti è capitato di chiedermi perché affermo che avrei paura di te. Come al solito non ho saputo risponderti, in parte appunto per la paura che mi incuti, in parte perché motivare questa paura richiederebbe troppi particolari, più di quanti riuscirei a riunire in qualche modo in un discorso”
Così inizia una lunghissima lettera di oltre sessanta pagine che nel 1919 Franz Kafka scrive al padre, senza poi trovare il coraggio di consegnarla al destinatario.
La lettera ripercorre la storia di un rapporto assolutamente squilibrato tra un padre troppo forte ed un figlio troppo debole.
E’ una lotta impari. Da una parte c’è “un vero Kafka in quanto a voce, in quanto a forza, salute, appetito, potenza di voce, capacità oratoria, autosufficienza, senso di superiorità, tenacia, presenza di spirito, conoscenza degli uomini, e per una certa generosità, naturalmente con tutti i difetti e le debolezze tipici di questi pregi, verso i quali ti spingono il tuo carattere e, a volta, la tua irascibilità.”
Dall’altra c’è un bambino “pauroso” e “testardo” anche se “non indocile”, più che un Kafka un Lowy ( cognome della madre): “non mosso dall’impulso vitale, affaristico, combattivo dei Kafka, bensì da un pungolo lowyano, che agisce più nascosto e timoroso, quando non manca del tutto” .
Un bambino che desidera con tutto se stesso l’affetto del padre, ma che non ha il cuore di conquistarselo: “non tutti i bambini hanno la resistenza ed il coraggio di cercare a lungo l’affetto fino a trovarlo”.
Non mancano gli eventi traumatici. Una notte il piccolo Franz piagnucola per avere dell’acqua. Il padre, infastidito dalle sue lagne, irrompe come una furia nella sua stanza, lo afferra e lo porta sul ballatoio lasciandolo lì per un certo tempo in camicia da notte, in piedi vicino alla porta chiusa.
“Ancora dopo anni mi impauriva la tormentosa fantasia che l’uomo gigantesco, mio padre, l’ultima istanza, potesse arrivare nella notte senza motivo e portarmi dal letto sul ballatoio, e che dunque io ero per lui una totale nullità” .
Il dialogo risulta impossibile tra i due. Non appena il figlio si azzarda a coltivare un pensiero non collimante con quello del padre, è subito investito dalla pesantezza dei suoi giudizi negativi.
Ogni volta che Franz è entusiasta di un’esperienza e cerca di condividerla, la reazione è sempre la stessa: sufficienza ( “ho visto di meglio”), sarcasmo (” se i tuoi pensieri son tutti qui”) fastidio (“ho altro per la testa io!). E’ sufficiente che Franz esprima simpatia, ammirazione o anche semplice interesse per qualcuno ed ecco che il padre è già pronto a caricare quella persona di insulti, calunnie e denigrazioni senza alcun rispetto per il giudizio del figlio.
Schiacciato dalla personalità del padre, Kafka finisce per diventare insicuro:
“Lo ripeto per la centesima volta: probabilmente sarei diventato un un uomo poco socievole e ansioso, ma da questo al punto in cui sono arrivato il percorso è ben più lungo e oscuro [….] avevo perso la fiducia in me stesso sostituendola con un immenso senso di colpa” .
Il matrimonio diventa per Kafka lo strumento con i quale tentare di chiudere la partita.
Il matrimonio diventa nell’immaginazione dello scrittore “una garanzia di liberazione assoluta, di indipendenza” il simbolo della parità raggiunta con il padre: “Io avrei una famiglia, vale a dire la meta più alta che a mio avviso si possa raggiungere, una meta che tu hai raggiunto, e quindi saremmo alla pari”.
Sembra possibile superare attraverso il matrimonio anche il senso di colpa: “Diventerei un figlio libero, riconoscente, incolpevole, sincero e tu diventeresti un padre rasserenato, non dispotico, comprensivo, soddisfatto” .
Ad attrarre verso il matrimonio Kafka, oltre al desiderio di “saldare i conti” con il padre c’è anche il timore della solitudine, il desiderio di essere circondato da premure, assistito ed accudito.
Illuminanti a tale riguardo sono le parole di un brano del 1911 “L’infelicità dello scapolo”:
“Pare così duro, restar scapolo, e da vecchio, con grave diminuzione della propria dignità, chieder ospitalità, quando si vuol passare una sera in compagnia, esser malato e dall’angolo del proprio letto per settimane intere contemplare la propria stanza vuota, congedarsi dalla gente sempre davanti al portone di casa, non spingersi mai su per le scale colla propria moglie, aver nella camera solo porte laterali che conducono in quartieri altrui, portare la cena a casa in una mano, guardare ammirato i figlioli degli altri…[….] sull’esempio di uno o due scapoli come appaiono nei ricordi d’infanzia”

Ma la strada del matrimonio che sembra così doverosa oltre che naturale e addirittura necessitata si rivela impercorribile.
A sbarrargli la strada verso questo obiettivo c’è in primo luogo un sentimento di forte inadeguatezza. Nell’unione del padre con la madre non può non riconoscere “un modello valido sotto molti aspetti, esemplare per fedeltà, aiuto reciproco, numero dei figli” .
Kafka sente di essere privo delle doti del padre che sono state il punto di forza della buona riuscita di quel matrimonio, che non può fare a meno di ammirare. Doti come “forza, disprezzo del prossimo, buona salute e una certa smodatezza, talento oratorio e inadeguatezza, fiducia di sé e insoddisfazione verso gli altri, senso del dominio e tirannia, conoscenza degli uomini e diffidenza nei confronti della maggior parte di essi e infine anche qualità prive di difetti come solerzia, tenacia, presenza di spirito, imperturbabilità”
Ma non è solo il senso di inadeguatezza quello che porta Kafka a fuggire dal matrimonio.
Il desiderio di fuga dal padre lo ha portato a costruirsi nel tempo un rifugio che all’inizio era la lettura, successivamente è diventato la scrittura.
Lo scrivere , per Kafka, è quindi uno strumento attraverso il quale conquistarsi autonomia.
Un tentativo che Kafka teme condannato all’insuccesso , ma che egli sente di dover tenere alla larga da ogni possibile pericolo.
Preferisce “il passero in mano alla colomba sul tetto” ( secondo un vecchio tedesco che equivale al nostro “meglio un uovo oggi che una gallina domani”). Anche se si rende conto, vista la difficoltà di affermarsi come scrittore di non avere in mano nulla.
“In mano non stringo nulla, sul tetto c’è tutto, eppure- così hanno deciso le condizioni della lotta e le necessità della vita – io sono costretto a scegliere il nulla”.
Insomma desidera fuggire dal carcere, ma il matrimonio gli sembra portare con sé il rischio di un altro carcere, mentre letteratura sembra almeno potergli offrire, come dice Pietro Citati nel suo bellissimo “Kafka”, “una fuga grandiosa verso l’infinito”.

Filippo Cusumano