Collana Piccola Biblioteca Adelphi, pag.128
Si chiama Ofelia Queiroz, ha diciannove anni, è fresca, carina, spigliata e, contro la volontà dei suoi genitori, ha deciso di trovare un impiego.
Conosce il francese, sa scrivere a macchina e sa anche qualche parola di inglese.
Viene assunta in una piccola azienda commerciale.
Il poeta è di diversi anni più vecchio, ma non si sottrae al gioco degli sguardi, dei baci in punta di labbra tra una scrivania e all’altra, dei bigliettini. I due si scambiano anche una infinità di lettere d’amore.
Lettere che non ci si aspetterebbe dal Poeta dell’Inquietitudine: piene di affettuosità di tipo adolescenziale, di piccole ritrosie, di grandi slanci, perfino di giocosità puerili.
Che dire di questa lettera del maggio 1920?
“Bebè piccino del Nininho-ninho,
Oh!
Ti scrivo questa letteina per dire al Bebè piccino che mi è piaciuta tanto la sua letteina.
Oh!
Ed ero tanto triste pecchè non avevo il mio Bebè vicino a dargli tanti cicini.
Oh! Questo Nininho è così piccininino! Oggi questo Nininho qui non viene a Belém pecchè non sa se funzionano i tram e deve essere qui alle sei. Domani, se tutto va bene, il tuo Nininho esce di qui alle cinque e mezzo.
Domani il mio Bebè appetta il suo Nininho, sì? A Belém, sì, sì?
Cicini, cicini e cicini
Fernando”
Per Pessoa, Ophelia rappresenta un porto sicuro e stabile, una donna che lo stima e gli dà attenzione, un essere sensibile che lo ama così com’è, senza chiedergli di essere diverso, senza pretendere di cambiarlo.
Il namoro è un momento magico, che il Poeta vorrebbe prolungare all’infinito, proprio perché a questo status di fidanzato, oltre che, naturalmente, al carattere paziente e affettuoso di Ophelia, sa di dovere la sua beatitudine: quella di uomo che coltiva intensamente la sua passione per la letteratura mantenendo anche un sottofondo di dolcezza nella sua vita privata.
Ma Pessoa sa anche che, il giorno in cui al namoro facesse seguito il matrimonio, Ophelia pretenderebbe un ruolo quanto meno di pari dignità rispetto alla sua Opera, chiedendo di accentrare su di sé una passione che il Poeta sa di poter indirizzare esclusivamente verso la letteratura
Nel dicembre del 1920 Ofélia decide di mettere un punto, stanca di essere presa in giro dall’insicurezza surreale del poeta.
“Una donna che crede alle parole di un uomo, non è che una povera idiota; se un giorno vedeste qualcuno che finga di portare alle labbra una bevanda avvelenata a causa sua, rovesciategliela velocemente in bocca perchè libererà il mondo da un impostore in più.”
Conclude così la sua ultima lettera.
D’altronde quale donna di buon senso ( e Ophelia sicuramente lo era!) non diffiderebbe degli slanci amorosi di chi ha scritto una poesia come quella, ormai famosissima, che riporto qui sotto?
Tutte le lettere d’amore sono
ridicole.
Non sarebbero lettere d’amore se non fossero
ridicole.
Anch’io ho scritto ai miei tempi lettere d’amore,
come le altre
ridicole.
Le lettere d’amore, se c’è l’amore
devono essere
ridicole.
Ma, dopotutto
solo coloro che non hanno mai scritto
lettere d’amore
sono ridicoli.
Magari fosse ancora il tempo in cui scrivevo
senza accorgermene
lettere d’amore
ridicole.
La verità è che oggi
sono i miei ricordi
di quelle lettere d’amore
ad essere
ridicoli.
Filippo Cusumano
Mi è sempre piaciuto molto Pessoa, sono legato a lui da letture che risalgono alla fine degli anni ’80, primo ’90, quando lo scoprii con “Una sola moltitudine”.
Commento approssimativo, soprattutto nella fase finale in cui si riporta una poesia del tutto innocente come discrimine della superficialità del Pessoa.