Month: dicembre 2007

Piccolo gioco natalizio per appassionati di lettura

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Borges dice che ogni opera narrativa racconta sempre una di queste quattro storie: una ricerca, un viaggio, il sacrificio di un dio, una città sotto assedio.

Alcuni esempi?

L’isola del Tesoro? C’è il viaggio, c’è la ricerca, c’è perfino, nell’isola, il vecchio fortino nel quale stanno asserragliati prima i gentiluomini e poi i pirati.

I promessi sposi? C’è il viaggio e c’è la ricerca: Renzo e Lucia fuggono dal paesello e passano gran parte del romanzo a cercarsi.

L’Iliade? Facile, c’è la città sotto assedio.

L’Odissea? Tutto il poema parla della ricerca della strada di casa.

I Vangeli? Semplice! Il sacrificio di un dio.

 

Il giochino può andare avanti all’infinito.

Non si scappa, Borges aveva proprio ragione, o c’è un ingrediente o c’è l’altro, o più di uno insieme.

Provate a pensarci.

Intanto Buon Natale.

Filippo Cusumano
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Il vicario di Wakefield di Oliver Goldsmith

img21_1.jpg“Ci si rende più utili a sposarsi e a metter su una bella famiglia che a restar giovanotti e chiacchierare di figliolanza: così almeno ho sempre pensato io. Perciò, scorso neanche un anno da che ero consacrato sacerdote, presi a petto questa faccenda del matrimonio; e scelsi la sposa come ella scelse poi la veste nuziale, cioè non badando all’eleganza ma alla qualità del tessuto

Non comprerei mai un libro il cui attacco mi risultasse poco stimolante o addirittura scarsamente comprensibile.

L’incipit de “Il vicario di Wakefield” (1766) dell’irlandese Oliver Goldsmith che riporto qui sopra è un solidissimo esempio di come possa essere accattivante e al tempo stesso ricca di informazioni la prima mezza pagina di un libro.

Capiamo che chi scrive è un prete, che difetta di romanticismo e trabocca di buon senso.

Attraverso pochissime righe, poi, veniamo catapultati in un “piccolo mondo antico” nel quale il matrimonio non è l’innesco di un esperimento ad alto rischio, ma il risultato certo di un’attenta combinazione di ingredienti,come in un’antica ricetta, di quelle che si tramandano di madre in figlia.

Basta rispettare le dosi e i tempi di cottura e, voilà, ecco il perfetto matrimonio.

Che dire poi dei passaggi successivi?

“Devo dire che era proprio una brava donna, bene educata.sapeva leggere qualunque libro senza quasi compitare; in cucina, e nell’arte di far conserve e salamoie, imbattibile.”

e delle conclusioni?

“Quando c’è l’affezione, basta; e con gli anni aumentò”

Impagabile.

Ma il romanzo, in tutto poco meno di 300 pagine, è meritevole di lettura dall’inizio alla fine.

La storia del vecchio canonico di campagna, la cui figlia è insidiata dal signorotto locale, è appassionante e divertente, scritta con ironia e leggerezza.
Goethe lo definì “uno dei più bei romanzi che sia mai stato scritto”.
Filippo Cusumano

“Lettera al Padre” di Franz Kafka

“Lettera al Padre” di Franz Kafka
Edizioni SE- Collana Piccola Enciclopedia

E’ impossibile capire Kafka senza scandagliare il suo rapporto con il padre.
Questo doloroso e tormentatissimo rapporto è all’origine del sentire di Kafka nei confronti delle cose della vita ed è la sorgente dalla quale scaturiscono, direttamente o indirettamente, tutti i temi della sua opera letteraria.
Il sentimento che domina lo scrittore quando pensa al padre è la paura.
“Caro papà, recentemente ti è capitato di chiedermi perché affermo che avrei paura di te. Come al solito non ho saputo risponderti, in parte appunto per la paura che mi incuti, in parte perché motivare questa paura richiederebbe troppi particolari, più di quanti riuscirei a riunire in qualche modo in un discorso”
Così inizia una lunghissima lettera di oltre sessanta pagine che nel 1919 Franz Kafka scrive al padre, senza poi trovare il coraggio di consegnarla al destinatario.
La lettera ripercorre la storia di un rapporto assolutamente squilibrato tra un padre troppo forte ed un figlio troppo debole.
E’ una lotta impari. Da una parte c’è “un vero Kafka in quanto a voce, in quanto a forza, salute, appetito, potenza di voce, capacità oratoria, autosufficienza, senso di superiorità, tenacia, presenza di spirito, conoscenza degli uomini, e per una certa generosità, naturalmente con tutti i difetti e le debolezze tipici di questi pregi, verso i quali ti spingono il tuo carattere e, a volta, la tua irascibilità.”
Dall’altra c’è un bambino “pauroso” e “testardo” anche se “non indocile”, più che un Kafka un Lowy ( cognome della madre): “non mosso dall’impulso vitale, affaristico, combattivo dei Kafka, bensì da un pungolo lowyano, che agisce più nascosto e timoroso, quando non manca del tutto” .
Un bambino che desidera con tutto se stesso l’affetto del padre, ma che non ha il cuore di conquistarselo: “non tutti i bambini hanno la resistenza ed il coraggio di cercare a lungo l’affetto fino a trovarlo”.
Non mancano gli eventi traumatici. Una notte il piccolo Franz piagnucola per avere dell’acqua. Il padre, infastidito dalle sue lagne, irrompe come una furia nella sua stanza, lo afferra e lo porta sul ballatoio lasciandolo lì per un certo tempo in camicia da notte, in piedi vicino alla porta chiusa.
“Ancora dopo anni mi impauriva la tormentosa fantasia che l’uomo gigantesco, mio padre, l’ultima istanza, potesse arrivare nella notte senza motivo e portarmi dal letto sul ballatoio, e che dunque io ero per lui una totale nullità” .
Il dialogo risulta impossibile tra i due. Non appena il figlio si azzarda a coltivare un pensiero non collimante con quello del padre, è subito investito dalla pesantezza dei suoi giudizi negativi.
Ogni volta che Franz è entusiasta di un’esperienza e cerca di condividerla, la reazione è sempre la stessa: sufficienza ( “ho visto di meglio”), sarcasmo (” se i tuoi pensieri son tutti qui”) fastidio (“ho altro per la testa io!). E’ sufficiente che Franz esprima simpatia, ammirazione o anche semplice interesse per qualcuno ed ecco che il padre è già pronto a caricare quella persona di insulti, calunnie e denigrazioni senza alcun rispetto per il giudizio del figlio.
Schiacciato dalla personalità del padre, Kafka finisce per diventare insicuro:
“Lo ripeto per la centesima volta: probabilmente sarei diventato un un uomo poco socievole e ansioso, ma da questo al punto in cui sono arrivato il percorso è ben più lungo e oscuro [….] avevo perso la fiducia in me stesso sostituendola con un immenso senso di colpa” .
Il matrimonio diventa per Kafka lo strumento con i quale tentare di chiudere la partita.
Il matrimonio diventa nell’immaginazione dello scrittore “una garanzia di liberazione assoluta, di indipendenza” il simbolo della parità raggiunta con il padre: “Io avrei una famiglia, vale a dire la meta più alta che a mio avviso si possa raggiungere, una meta che tu hai raggiunto, e quindi saremmo alla pari”.
Sembra possibile superare attraverso il matrimonio anche il senso di colpa: “Diventerei un figlio libero, riconoscente, incolpevole, sincero e tu diventeresti un padre rasserenato, non dispotico, comprensivo, soddisfatto” .
Ad attrarre verso il matrimonio Kafka, oltre al desiderio di “saldare i conti” con il padre c’è anche il timore della solitudine, il desiderio di essere circondato da premure, assistito ed accudito.
Illuminanti a tale riguardo sono le parole di un brano del 1911 “L’infelicità dello scapolo”:
“Pare così duro, restar scapolo, e da vecchio, con grave diminuzione della propria dignità, chieder ospitalità, quando si vuol passare una sera in compagnia, esser malato e dall’angolo del proprio letto per settimane intere contemplare la propria stanza vuota, congedarsi dalla gente sempre davanti al portone di casa, non spingersi mai su per le scale colla propria moglie, aver nella camera solo porte laterali che conducono in quartieri altrui, portare la cena a casa in una mano, guardare ammirato i figlioli degli altri…[….] sull’esempio di uno o due scapoli come appaiono nei ricordi d’infanzia”

Ma la strada del matrimonio che sembra così doverosa oltre che naturale e addirittura necessitata si rivela impercorribile.
A sbarrargli la strada verso questo obiettivo c’è in primo luogo un sentimento di forte inadeguatezza. Nell’unione del padre con la madre non può non riconoscere “un modello valido sotto molti aspetti, esemplare per fedeltà, aiuto reciproco, numero dei figli” .
Kafka sente di essere privo delle doti del padre che sono state il punto di forza della buona riuscita di quel matrimonio, che non può fare a meno di ammirare. Doti come “forza, disprezzo del prossimo, buona salute e una certa smodatezza, talento oratorio e inadeguatezza, fiducia di sé e insoddisfazione verso gli altri, senso del dominio e tirannia, conoscenza degli uomini e diffidenza nei confronti della maggior parte di essi e infine anche qualità prive di difetti come solerzia, tenacia, presenza di spirito, imperturbabilità”
Ma non è solo il senso di inadeguatezza quello che porta Kafka a fuggire dal matrimonio.
Il desiderio di fuga dal padre lo ha portato a costruirsi nel tempo un rifugio che all’inizio era la lettura, successivamente è diventato la scrittura.
Lo scrivere , per Kafka, è quindi uno strumento attraverso il quale conquistarsi autonomia.
Un tentativo che Kafka teme condannato all’insuccesso , ma che egli sente di dover tenere alla larga da ogni possibile pericolo.
Preferisce “il passero in mano alla colomba sul tetto” ( secondo un vecchio tedesco che equivale al nostro “meglio un uovo oggi che una gallina domani”). Anche se si rende conto, vista la difficoltà di affermarsi come scrittore di non avere in mano nulla.
“In mano non stringo nulla, sul tetto c’è tutto, eppure- così hanno deciso le condizioni della lotta e le necessità della vita – io sono costretto a scegliere il nulla”.
Insomma desidera fuggire dal carcere, ma il matrimonio gli sembra portare con sé il rischio di un altro carcere, mentre letteratura sembra almeno potergli offrire, come dice Pietro Citati nel suo bellissimo “Kafka”, “una fuga grandiosa verso l’infinito”.

Filippo Cusumano

CALYPSO FRELIMO di Alessandro Tempi

Alessandro Tempi

Calypso Frelimo

romanzo, Ellebi edizioni, 2007

PRESENTAZIONE

Tutto comincia con una bara che arriva da lontano. L’inatteso evento risveglia la trama dei ricordi nelle persone che hanno conosciuto l’uomo che è tornato morto. Si innesca così per tutti i protagonisti di Calypso Frelimo un viaggio nella memoria, nel tempo perduto della giovinezza, delle occasioni mancate e sprecate. Ma questo viaggio non sarà indolore, poiché porterà con sé l’assillo che quella morte sia come un segnale di un passato che ritorna.

Con suo terzo romanzo, Alessandro Tempi descrive vicende che oscillano fra presente e passato, fra un’attualità indistinta ma per certi versi riconoscibilissima e gli anni settanta. E’ in quell’epoca cruciale, infatti, che prendono avvio eventi che – come l’esplodere dell’impegno politico ed il suo successivo ineluttabile implodere nella droga; il trascolorare del politico nel personale e l’ombra di un disegno inquietante dietro le pulsioni autodistruttive di una generazione – segneranno irreversibilmente le vite dei personaggi di questa storia e come tanti fili lasciati sospesi, verranno riannodati solo nel presente.

Calypso Frelimo è, in ultima analisi, la storia di ferite mai rimarginate, di un passato che ritorna, di una resa dei conti, ma soprattutto il resoconto amaro della ricerca di un riscatto che neanche la vendetta può dare.

Il romanzo Calypso Frelimo sarà presentato sabato 22 dicembre 2007, alle ore 17:30, nella Sala del Granaio di Villa Barberino, a Meleto di Caviglia. Insieme all’autore ne discuteranno

Stefano Dondi, critico

Saverio Castrucci, giornalista de La Repubblica

Alessandro Tempi è nato nel 1958. E’ insegnante e giornalista. Dirige le “Memorie Valdarnesi” dell’Accademia del Poggio di Montevarchi. E’ autore di volumi di poesie e di saggistica. Questo è il suo terzo romanzo.

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IL CORPO E L’ANIMA di Virginio Giovanni Bertini, Donatella Francesconi e Giulio Sensi

 

18 Dicembre 2007

GIORNATA INTERNAZIONALE DEI DIRITTI DEI MIGRANTI

IL CORPO E L’ANIMA, cronache di diritti negati e lotte originali

di Virginio Giovanni Bertini, Donatella Francesconi e Giulio Sensi

Presentazione del libro e dibattito

Martedi’ 18 Dicembre 2007 ore 17.30 Sala Croce Verde, Via Garibladi 171, Viareggio

Intervengono : Andrea Antonioli, responsabile CGIL Versilia, Marco Marcucci, Sindaco di Viareggio, don Alessandro Santoro, Comunita’ Piagge di Firenze

Saranno presenti gli autori e i protagonisti delle storie.

Diritti negati: migranti, morti nel viaggio della speranza, giacciono in fondo al nostro mare comune. Altri imprigionati di CPT

Diritti negati : Antonio Schiavone, operaio di 36 anni bruciato vivo, insieme ad altri, il 6.12.07 alla Thyseenkrupp di Torino dopo 12 ore di lavoro, l’ultimo omicidio bianco.

Diritti negati: tre operai al giorno vittime immolate al dio mercato nelle fabbriche e nei cantieri. Diritti alla vita, alla sicurezza, ad un lavoro dignitoso, negati, distrutti.

Questa è la vera emergenza sicurezza da affrontare, la nuova cittadinanza da costruire, per sconfiggere razzismo e xenofobia.

Il dibattito è aperto.

Rete antirazzista per i diritti di cittadinanza