Month: marzo 2008

Far fuori la concorrenza: i giudizi di Moravia sugli altri scrittori

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Pirandello? Uno scrittore con precise categorie mentali, quelle di un professore siciliano dei primi del secolo.
Italo Svevo? Bravissimo, peccato che la sua lingua sia quella di un commerciante di Trieste.
Vittorini? Manca di rigore intelletuale.
Gadda ? Abusa della sua bravura di illusionista della parola.
Pavese? Un letterato fino alla cima dei capelli. Per tutta la vita ha cercato di creare dei miti: le langhe, le colline l’America..Fino al suicidio, che va interpretato come il tentativo di creare un mito nella vita, dopo il fallimento nel tentare di crearlo nella pagina.
Sciascia? Un razionalista la cui ragione sfocia nel mistero.
Manganelli? Un bravo letterato, incapace però di affrontare se stesso, forse per eccessivo pudore.
Landolfi? Belli i suoi racconti, ma manca di respiro, da lui mi aspettavo un romanzo che invece non ha scritto.
Questi alcuni dei giudizi espressi da Alberto Moravia nei confronti degli scrittori del suo tempo secondo un interessantissimo articolo di Nello Ajello apparso su “La Repubblica” tempo fa.

Confermano la scarsa generosità umana di uno scrittore di intelligenza acuminata, molto prolifico, ma quasi sempre arido.

Il fatto che i suoi libri non si leggano più risiede non solo nella sgradevolezza dei suoi personaggi e nella inconsistenza delle sue storie, ma anche nel fatto che è venuto a mancare loro un grandissimo promoter: l’autore stesso.

Molto bravo in vita, tutte le volte che qualcuno gli parlava di un altro scrittore, a ricondurre la conversazione su di se e sulle proprie opere.

Memorabile il modo con cui rispose ad un giornalista che gli chiedeva di commentare il suicidio di Guido Morselli, che si era tolto la vita perchè nessuno voleva pubblicare i suoi libri ( che poi uscirono tutti postumi).
“Ha fatto malissimo. Visto che era ricco poteva fare come me, che a vent’anni feci pubblicare a mie spese ‘Gli indifferenti’
Filippo Cusumano
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Quanti di letteratura

Chico Buarque, Budapest, Universale Economica Feltrinelli, Milano 2006

La comune concezione del tempo e dell’accadere degli eventi nel tempo si struttura, analogamente alla serie dei numeri naturali (numeri interi positivi: 1,2,3,4,5, ecc.) come un sistema ordinale, assegnando a ciascun evento un posto unico ed irripetibile nella successione. Nell’ordinamento naturale del divenire, come nell’ordinamento naturale n, n+1, ecc., ogni elemento ha un successivo con esclusione, in base al principio di non contraddizione (una cosa non può essere e non essere al tempo stesso), di una doppia o tripla o comunque multipla dislocazione contemporanea nella successione. Dal punto di vista numerico nell’ordinamento dei numeri naturali non esiste nessun numero naturale X tale che 5 +X = 4 (X = 4 – 5), né è possibile la serie: 1,2,3,4,2,5,2,6,7,3, ecc.

Un’opera narrativa tende a riproporre l’ordinamento naturale degli eventi nella forma semplice della fabula (es. descrizione di quanto accade minuto per minuto in un giorno della vita del signor K) o in quella complessa dell’intreccio (es. i ricordi del signor K, il passato che ha già tessuto la trama di quanto accadrà alle ore 15.00 di quel giorno della vita del signor K, le previsioni/speranze di K per la cena, ecc.). Nell’intreccio l’ordinamento naturale degli eventi viene scomposto in un gioco di anticipazioni e posticipazioni, senza scardinare tuttavia la logica complessiva dell’ordinamento, sicché alla fine la posizione di ogni elemento è comunque coerente. Per continuare nell’esempio numerico: si cita il 5 prima del 3 o si ricorda il 2 dopo il 7, ma nella logica sottintesa del racconto è pacifico che il 3 preceda il 5 e il 2 il 7.

Tendono invece ad alterare e a spezzare l’ordinamento naturale le trame di letteratura fantastica basate sul viaggio nel tempo, in particolare le implicazioni derivanti dalla dislocazione temporale di oggetti e persone in violazione della cosiddetta continuità spazio-temporale, che danno luogo a controsensi irrisolvibili.

Talune situazioni contraddittorie, infatti, possono essere immaginate e perfino enunciate, ma non si possono spiegare o addirittura rappresentare secondo i normali canoni logici. Il paradosso della palla da biliardo che entra in due buche contemporaneamente può essere affermato (qualcosa di simile accade nella dimensione quantistica delle particelle subatomiche) ma non rappresentato, nemmeno idealmente: la nostra immaginazione, costretta alla tridimensionalità non contraddittoria, vedrà ad un certo punto la biglia sdoppiarsi o cadere prima in una buca e poi nell’altra.

Eppure in una composizione di Escher si segue con lo sguardo la salita di una scala, si è sicuri di salire, e intanto si sta scendendo fino a ritrovarsi al punto di partenza. In una rappresentazione grafica questo artificio ottico è reso possibile da prospettive anomale che simulano geometrie non euclidee. In una rappresentazione discorsiva per ottenere il medesimo effetto bisognerà rinunciare alla logica spazio-temporale fondata sul principio di non contraddizione e sull’ordinamento naturale degli eventi, e affidarsi invece ad una sorta di quantistica letteraria, camminando su di un filo sopra un baratro.

Nella quarta di copertina di Budapest si può leggere questo lusinghiero commento del maestro José Saramago: “Chico Buarque ha osato molto; ha attraversato l’abisso su un filo ed è arrivato dall’altra parte, là dove ritroviamo i lavori eseguiti con maestria del linguaggio, della costruzione narrativa, del fare semplice.”

Il romanzo di Chico Buarque de Hollanda – ma sì, proprio lui, il famoso cantautore brasiliano – ha un avvio rassicurante per la nostra tranquillità mentale, sembra il dipanarsi di una storia che, per quanto insolita, rispetterà l’ordinamento naturale degli eventi e intanto non ci si accorge che l’Autore ha già disseminato qualche indizio, dei segnali di pericolo:

“Sulla strada lungo la spiaggia del Flamengo improvvisai elogi a Kocsis Ferenc, il grande interprete dell’anima ungherese, e citai i Terzetti Segreti come la sua opera più importante. Li inventai sul momento, questi Terzetti, ma senza esitare Vanda affermò di conoscerli, e di aver letto qualcosa a loro proposito su un supplemento letterario” (p. 29).

Il ghost-writer brasiliano José Costa (primo indizio: la doppia identità di un uomo con tutto il talento dello scrittore, ma che non è uno scrittore riconosciuto, in quanto scrive in incognito per la gloria di altri totalmente negati per la scrittura) che dopo un casuale (o fatale?) scalo tecnico a Budapest è ossessionato dalla lingua magiara (altro indizio: come se una parte di sé la conoscesse, come il ricordo sfocato di un’altra esistenza in un’altra realtà) si sta avviando con la moglie Vanda ad una serata letteraria dove c’è un poeta ungherese che ha già scritto dei versi, i Terzetti Segreti, che José Costa – ma lo si scoprirà soltanto in seguito – scriverà in un momento successivo e per il medesimo Kocsis Ferenc, e per di più la moglie afferma di aver sentito parlare di un’opera che il marito non sa ancora di avere già scritto. L’ordinamento naturale degli eventi è completamente saltato e l’equazione impossibile 5 + X = 4 ammette paradossalmente una soluzione nella dimensione quantistica del surreale letterario.

Nell’andirivieni tra la bianca e falcata Copacabana e i ponti sospesi sul Danubio, dai colori e sapori tropicali di Rio all’eclettismo mitteleuropeo di Budapest, dalla musicalità sensuale delle parole portoghesi intinte d’Africa alla cadenza ugrofinnica esotica ed impenetrabile per l’orecchio indoeuropeo, le vicende del protagonista si scompigliano fino a tenere il lettore sulla corda, nell’incertezza tra una storia di cambio d’identità e una di doppia identità, nel dubbio se si stia leggendo la storia dell’ungherese Zsose Kósta che vive a tratti un delirio brasiliano nei panni di un certo José Costa, o se invece si stia assistendo alla progressiva mutazione del ghost-writer brasiliano in un fine dicitore ungherese.

Chico Buarque avrebbe anche potuto indugiare nella nebulosa di indefinitezza di questo dilemma già esplorato da altri autori, ma è ben deciso ad andare oltre e ad attraversare l’abisso con l’apoteosi dello sconcerto concertato: stacca dalla realtà la vita di José Costa/Zsose Kósta per farla diventare carta, pagine di un romanzo falsamente autobiografico scritto da un altro ghost-writer, talmente ghost che non ha nemmeno identità, il Signor…: “E il momento dopo si intimidì, perché ora leggevo il libro allo stesso tempo in cui il libro succedeva” (p. 138), innescando un rompicapo di scatole cinesi e concludendo con una dissolvenza incrociata che riprende la chiusura del Ginografo, ulteriore storia nella storia, altra falsa autobiografia di un emigrato tedesco in Brasile che scrive sul corpo delle donne amate, una delle tante opere fantasma di José Costa.

Ci vuole talento e padronanza della materia per architettare un simile impianto letterario e per scriverlo fino in fondo senza cadute di stile, senza scivolare nell’abisso della banalità o del kitsch, e altresì con una naturalezza che ha buon gioco nel produrre il complessivo effetto straniante.

I testi delle canzoni di Chico Buarque de Hollanda lasciano intuire l’ispirazione e la sensibilità del poeta, ma che Chico Buarque sia anche uno scrittore autentico lo si scopre leggendo un libro come Budapest.

                                                                                                                      Mauro Del Bianco

La solitudine dei numeri primi

Mondadori editore 2008

 

“Alice Della Rocca odiava la scuola di sci”. Comincia così il primo romanzo di Paolo Giordano “la solitudine dei numeri primi”.

Alice è una bambina di sette anni, che non ha il coraggio di ribellarsi al padre che la vorrebbe precoce campionessa di sci e che tutte le mattine, invece di consentirle di godersi le vacanze in montagna, la trascina in un campetto, affidandola ad un maestro di sci insieme ad altri bambini della sua età.

Lei si sente goffa e inadeguata, è certa di non avere alcuna predisposizione per quello sport e vive il tutto come un’orribile costrizione. E’ bardata in modo insopportabile: calzamaglia di lana che punge le cosce, guanti che paralizzano le dita, casco che schiaccia le guance.

Il mattino in cui inizia la vicenda le è rimasta anche la colazione sullo stomaco. In cima alla seggiovia si separa dai compagni e, complice una fittissima nebbia, cerca di liberarsi. Ma è a tal punto imbragata e imbranata, che accade l’irreparabile: se la fa addosso. Per la vergogna decide di andare a valle da sola, ma finisce fuori pista e si spezza una gamba. Continuerà a trascinarla per tutta la vita, rinfacciando al padre la sua menomazione.

Mattia è una ragazzino di grandissima intelligenza con una sorella gemella ritardata, Michela.

L’avere sempre al fianco la sorella è fonte di costante umiliazione per Mattia. Un giorno, invitato insieme a lei ad una festa da un compagno di scuola, decide di lasciarla per qualche ora in un parco, con la promessa di tornare a prenderla. Michela sparisce in modo inspiegabile e non viene più ritrovata.

Questi due episodi, raccontati all’inizio del romanzo, segnano in modo incancellabile le vite dei due protagonisti .

Alice ricava dalla sua gamba rigida un desiderio profondo di omologazione: passa l’adolescenza a desiderare di essere come le altre e a cercare considerazione e affetto. Rifiuta il cibo fino a rischiare l’anoressia per inseguire la chimera di un corpo perfetto, è diffidente con tutti perchè teme continuamente di essere respinta ed umiliata.

Mattia si immerge nello studio, ha sempre voti brillantissimi, ma , schiacciato dal senso di colpa per l’abbandono della sorella, si abbandona ogni tanto ad atti di autolesionismo, infliggendosi delle ferite alle braccia o alle mani . Gli si fa il vuoto attorno, tutti pensano a lui come ad una specie di psicopatico.

Alice e Mattia frequentano la stessa scuola ed un giorno si incontrano ad una festa.

Si scoprono simili e tuttavia profondamente divisi. Come quei numeri speciali che i matematici chiamano numeri primi gemelli: due numeri primi, cioè divisibili solo per se stessi, separati da un solo numero pari. Vicini, ma mai abbastanza per toccarsi tra loro.

Il libro descrive le storie dolorose e avvincenti di questi due giovani le cui infanzie sono state danneggiate in maniera quasi irreversibile.

Incapaci di buttarsi alle spalle un passato doloroso, Mattia e Alice vivono la certezza di essere diversi dagli altri costruendo giorno dopo giorno le barriere che li separano dal mondo.
Come hanno detto in molti, La solitudine dei numeri primi è un romanzo che cresce tra le mani: parte in sordina per esplodere nel finale.

Dal tono semplice e diretto dei primi capitoli che descrivono con rara tensione emotiva le disavventure infantili dei due protagonisti, si passa al linguaggio più affinato e complesso degli ultimi capitoli della vicenda.

La solitudine dei numeri primi dista anni luce dai romanzi giovanili che vanno per la maggiore: non solo per la qualità della scrittura, ma anche per la scelta dei protagonisti: imperfetti, irrisolti, marginali, ma proprio per questo infinitamente più attraenti dal punto di vista narrativo e personale di quelli levigati e avvenenti che popolano le pagine di Moccia e affollano i reality.

Paolo Giordano ha solo 26 anni, è laureato in fisica teorica, ha una borsa di studio per il dottorato di ricerca all’Università di Torino ed ha frequentato un corso di scrittura creativa.

Sostiene che il corso gli è servito a darsi una più credibile disciplina espressiva.

Probabile, certo non gli ha dato il talento.

Quello c’era già, come dimostra questo esordio quasi folgorante .

Filippo Cusumano

P.S. Due i romanzi ai quali è impossibile non pensare , leggendo questo romanzo: “Il giovane Holden” di J.D. Salinger, per la sua capacità di rappresentare il disagio adolescenziale, “Le correzioni” di Jonathan Franzen, per la forza con la quale racconta la violenza involontaria, ma irresistibile dei condizionamenti derivanti dai tentativi di educazione familiare.

 

Il blog è candidato al Premio DONNAèWEB 08

Candidata a DONNEèWEB 2008
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LA SCHEDA DEL BLOG

Il Blog fa parte del progetto web LA CONOSCENZA RENDE LIBERI ideato da Franca Corradini e Marco Panattoni.

La convinzione è che la conoscenza sia la base della libertà.

In questo contesto non poteva mancare un blog dedicato ai libri.

Libri che, anche nell’era di Internet, continuano a svolgere l’importante ruolo di trasmissione della cultura, della conoscenza.

E proprio perché Internet rischia di ridurre la quantità di carta stampata circolante , un blog  nato con l’intento di diventare un invito alla lettura non poteva mancare .

Un percorso all’incontrario : dal web alla carta stampata.

Blog è nato quindi  con lo scopo di promuovere la lettura  e l’amore per i libri.

Non c’è un preciso percorso o un progetto particolare.

Se non quello di chi invia le proprie recensioni: l’amore, l’interesse per un particolare libro .

Amore ed interesse che trapela tra le righe degli articoli.

Il risultato è inevitabilmente eterogeneo.

In questo modo si realizza,anche in questo caso , il confronto tra idee diverse e diverse opinioni e/o culture.

I lettori che  contattano la redazione sono le uniche nostre fonti.

Gli autori non sono necessariamente letterati di professione. Anzi.

Si privilegia la concretezza, il contenuto anziché la forma.

Franca Corradini è la curatrice del blog  e l’ideatrice del nome e della mission specifica.

Il perfetto “paesaggio arido” dell’amore

Vademecum di appunti per lettura di Inoue Yasushi, Amore, Adelphi, Milano 2006

1. Giardino di rocce
2. Anniversario di matrimonio
3. La morte, l’amore, le onde.

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Tre racconti, come tre sono le lettere, scritte da altrettante donne, che costituiscono la trama in forma epistolare del primo romanzo di Inoue, Il fucile da caccia. Ripetersi di struttura ternaria che può non essere una mera casualità. Il numero tre nel sapere esoterico come simbolo di esattezza, completezza dell’essere, nella letteratura come ritmo del narrare, ritmo per approssimarsi alla perfezione letteraria.
L’arte giapponese, dall’ikebana alla calligrafia, si esprime come ricerca di perfezione. Qualunque scrittore degno di questo nome, benchè non giapponese, insegue sulla pagina una perfezione che non sarà mai sua.
Chiave di lettura romantica:
1. L’amore sofferto, amaro, con esito straziante.
2. L’amore nostalgico ed elegiaco, con esito commovente.
3. L’amore puro e intenso, con esito confidente.
Chiave di lettura dialettica:
1. L’amore che non è mai esistito, il non-amore.
2. L’amore che arriva troppo tardi, il quasi-amore.
3. L’amore che nasce prima che sia troppo tardi, il vero amore.
Frasi semaforiche:
1. “Ti odio! (…) Ma nella sorpresa per avere proferito quelle parole terribilmente crudeli, insolite per lui, debole com’era, si mescolava una certa soddisfazione.”
2. “Per la defunta Kanako aveva provato qualcosa di simile all’amore.”
3. “Nami!, provò a gridare, chiamandola per la prima volta semplicemente per nome.
Fu come un’espressione d’amore, sgorgata naturalmente dalle sue labbra (…) Se ti fossi gettato, avevo intenzione di gettarmi anch’io. Se tu rinunci, rinuncio anch’io.”
L’interpretazione romantica può essere allineata a quella dialettica, ma accontentarsi di questo accostamento è da ebisu, barbari d’occidente.
Concetti estetici zen: wabi e sabi.
Wabi inteso come ciò che è naturale, puro, essenziale, originario.
Sabi inteso come il passato nelle cose, l’aspetto vissuto dovuto allo scorrere del tempo.
Elementi wabi:
1. Il giardino del Ryōanji: la spietata semplicità.
2. La montagna, il bosco di criptomerie, la strada cosparsa di pietre: la solitudine.
3. La penisola di Kii, la grande scogliera dove s’infrangono le onde: lo sgomento.
La purità della natura come rivelatrice di verità:
1. La visione del kare-sansui fa emergere l’autenticità dei sentimenti umani: Uomi ferisce l’amico Totsuka, Totsuka picchia l’amico Uomi, Uomi rifiuta l’amata Rumi, Mitsuko rifiuta l’amato Uomi.
Cosa sono i kare-sansui: paesaggi aridi annessi ai templi zen del periodo Muromachi, così chiamato dal quartiere di Kyōto dove gli Ashikaga fissarono la loro sede shōgunale (1338-1573). Si tratta di composizioni di rocce e sassi che emergono da un letto di sabbia bianca rastrellata, astratta rappresentazione dell’oceano e del mondo.
2. L’episodio di Shunkichi e Kanako che si perdono vagando sui sentieri ai piedi della montagna senza potersi incontrare, rivela l’autentico sentimento d’amore che lega i due coniugi, comicamente spilorci e gretti nel tentativo di vivere la vita, e tuttavia commoventi nella loro inadeguatezza a vivere la vita.
3. Di fronte allo spettacolo maestoso e terribile del mare e dell’enorme scogliera, Sugi e Nami scoprono di non poter morire, ma di amarsi. Bello il finale suggellato da una domanda che nella sua disarmante semplicità vanifica l’opinione che la morte possa essere rimedio al dolore dell’essere e che bisognerebbe porsi più spesso: e se tentassi di vivere? Se tentassimo finalmente di vivere nella pienezza della nostra vita che è il nostro destino, e di non essere più marionette in balia di fisime mentali, di sensazioni bugiarde e del gusto corrente?
Elementi sabi:
1. I giardini e i templi di Kyōto, i ricordi di gioventù di Uomi, il passato che non passa, nemesi.
2. La vita quotidiana patinata, usata e riciclata (per avarizia) di Shunkichi e Kanako.
3. Il libro di Willem van Ruysbroeck, Viaggio in Oriente, cronaca del XIII secolo della vita nell’impero dei Mongoli, orologio le cui pagine/lancette scandiscono il tempo che manca all’attuazione dei propositi suicidi di Sugi.
La poetica di Inoue Yasushi: la sensibilità per stati d’animo intensi, ma da accennare appena con raffinata poesia:
1. L’infelice solitudine dell’egoismo affettivo. Ricordare anche il dilemma vuoi amare/vuoi essere amata che si trova nella terza lettera de Il fucile da caccia: l’ansia insostenibile di chi non ha sopportato la sofferenza di amare e ha cercato la felicità di essere amato.
2. La nostalgia per la frugalità amorosa tra due prosaici coniugi senza qualità.
3. Il pudore di un amore che si schiude a poco a poco come un fiore, in un conflitto di emozioni e seduzioni scandite dalle note barbare di un tango argentino, di “un pensiero triste che si balla” (Enrique Santos Discépolo, poeta autore di tanghi).
Compito: riuscire a pensare e a realizzare, come in un solo istante, un’unica organica visione che contempli senza fratture la struttura ternaria, la dialettica, il romanticismo, la filosofia zen, wabi e sabi, la raffinata poesia, la sensibilità, la commozione, la comicità, la nostalgia, la speranza, la bellezza, la delicatezza, la tristezza di un tango, e quanto l’armonia estetica magnificamente lascia nell’ombra del non-detto, e per di più con un’invidiabile semplicità narrativa.

Se tutto ciò rimane ancora una luce all’orizzonte, da inseguire sempre, ma ancora lontana, mentre si sperimenta questa scarna geometria letteraria, questo misero kare-sansui della letteratura, Inoue Yasushi invece l’ha quasi toccata quella luce, essendo giunto ad un passo, soltanto un passo, dalla perfezione.

Mauro Del Bianco