Chico Buarque, Budapest, Universale Economica Feltrinelli, Milano 2006
La comune concezione del tempo e dell’accadere degli eventi nel tempo si struttura, analogamente alla serie dei numeri naturali (numeri interi positivi: 1,2,3,4,5, ecc.) come un sistema ordinale, assegnando a ciascun evento un posto unico ed irripetibile nella successione. Nell’ordinamento naturale del divenire, come nell’ordinamento naturale n, n+1, ecc., ogni elemento ha un successivo con esclusione, in base al principio di non contraddizione (una cosa non può essere e non essere al tempo stesso), di una doppia o tripla o comunque multipla dislocazione contemporanea nella successione. Dal punto di vista numerico nell’ordinamento dei numeri naturali non esiste nessun numero naturale X tale che 5 +X = 4 (X = 4 – 5), né è possibile la serie: 1,2,3,4,2,5,2,6,7,3, ecc.
Un’opera narrativa tende a riproporre l’ordinamento naturale degli eventi nella forma semplice della fabula (es. descrizione di quanto accade minuto per minuto in un giorno della vita del signor K) o in quella complessa dell’intreccio (es. i ricordi del signor K, il passato che ha già tessuto la trama di quanto accadrà alle ore 15.00 di quel giorno della vita del signor K, le previsioni/speranze di K per la cena, ecc.). Nell’intreccio l’ordinamento naturale degli eventi viene scomposto in un gioco di anticipazioni e posticipazioni, senza scardinare tuttavia la logica complessiva dell’ordinamento, sicché alla fine la posizione di ogni elemento è comunque coerente. Per continuare nell’esempio numerico: si cita il 5 prima del 3 o si ricorda il 2 dopo il 7, ma nella logica sottintesa del racconto è pacifico che il 3 preceda il 5 e il 2 il 7.
Tendono invece ad alterare e a spezzare l’ordinamento naturale le trame di letteratura fantastica basate sul viaggio nel tempo, in particolare le implicazioni derivanti dalla dislocazione temporale di oggetti e persone in violazione della cosiddetta continuità spazio-temporale, che danno luogo a controsensi irrisolvibili.
Talune situazioni contraddittorie, infatti, possono essere immaginate e perfino enunciate, ma non si possono spiegare o addirittura rappresentare secondo i normali canoni logici. Il paradosso della palla da biliardo che entra in due buche contemporaneamente può essere affermato (qualcosa di simile accade nella dimensione quantistica delle particelle subatomiche) ma non rappresentato, nemmeno idealmente: la nostra immaginazione, costretta alla tridimensionalità non contraddittoria, vedrà ad un certo punto la biglia sdoppiarsi o cadere prima in una buca e poi nell’altra.
Eppure in una composizione di Escher si segue con lo sguardo la salita di una scala, si è sicuri di salire, e intanto si sta scendendo fino a ritrovarsi al punto di partenza. In una rappresentazione grafica questo artificio ottico è reso possibile da prospettive anomale che simulano geometrie non euclidee. In una rappresentazione discorsiva per ottenere il medesimo effetto bisognerà rinunciare alla logica spazio-temporale fondata sul principio di non contraddizione e sull’ordinamento naturale degli eventi, e affidarsi invece ad una sorta di quantistica letteraria, camminando su di un filo sopra un baratro.
Nella quarta di copertina di Budapest si può leggere questo lusinghiero commento del maestro José Saramago: “Chico Buarque ha osato molto; ha attraversato l’abisso su un filo ed è arrivato dall’altra parte, là dove ritroviamo i lavori eseguiti con maestria del linguaggio, della costruzione narrativa, del fare semplice.”
Il romanzo di Chico Buarque de Hollanda – ma sì, proprio lui, il famoso cantautore brasiliano – ha un avvio rassicurante per la nostra tranquillità mentale, sembra il dipanarsi di una storia che, per quanto insolita, rispetterà l’ordinamento naturale degli eventi e intanto non ci si accorge che l’Autore ha già disseminato qualche indizio, dei segnali di pericolo:
“Sulla strada lungo la spiaggia del Flamengo improvvisai elogi a Kocsis Ferenc, il grande interprete dell’anima ungherese, e citai i Terzetti Segreti come la sua opera più importante. Li inventai sul momento, questi Terzetti, ma senza esitare Vanda affermò di conoscerli, e di aver letto qualcosa a loro proposito su un supplemento letterario” (p. 29).
Il ghost-writer brasiliano José Costa (primo indizio: la doppia identità di un uomo con tutto il talento dello scrittore, ma che non è uno scrittore riconosciuto, in quanto scrive in incognito per la gloria di altri totalmente negati per la scrittura) che dopo un casuale (o fatale?) scalo tecnico a Budapest è ossessionato dalla lingua magiara (altro indizio: come se una parte di sé la conoscesse, come il ricordo sfocato di un’altra esistenza in un’altra realtà) si sta avviando con la moglie Vanda ad una serata letteraria dove c’è un poeta ungherese che ha già scritto dei versi, i Terzetti Segreti, che José Costa – ma lo si scoprirà soltanto in seguito – scriverà in un momento successivo e per il medesimo Kocsis Ferenc, e per di più la moglie afferma di aver sentito parlare di un’opera che il marito non sa ancora di avere già scritto. L’ordinamento naturale degli eventi è completamente saltato e l’equazione impossibile 5 + X = 4 ammette paradossalmente una soluzione nella dimensione quantistica del surreale letterario.
Nell’andirivieni tra la bianca e falcata Copacabana e i ponti sospesi sul Danubio, dai colori e sapori tropicali di Rio all’eclettismo mitteleuropeo di Budapest, dalla musicalità sensuale delle parole portoghesi intinte d’Africa alla cadenza ugrofinnica esotica ed impenetrabile per l’orecchio indoeuropeo, le vicende del protagonista si scompigliano fino a tenere il lettore sulla corda, nell’incertezza tra una storia di cambio d’identità e una di doppia identità, nel dubbio se si stia leggendo la storia dell’ungherese Zsose Kósta che vive a tratti un delirio brasiliano nei panni di un certo José Costa, o se invece si stia assistendo alla progressiva mutazione del ghost-writer brasiliano in un fine dicitore ungherese.
Chico Buarque avrebbe anche potuto indugiare nella nebulosa di indefinitezza di questo dilemma già esplorato da altri autori, ma è ben deciso ad andare oltre e ad attraversare l’abisso con l’apoteosi dello sconcerto concertato: stacca dalla realtà la vita di José Costa/Zsose Kósta per farla diventare carta, pagine di un romanzo falsamente autobiografico scritto da un altro ghost-writer, talmente ghost che non ha nemmeno identità, il Signor…: “E il momento dopo si intimidì, perché ora leggevo il libro allo stesso tempo in cui il libro succedeva” (p. 138), innescando un rompicapo di scatole cinesi e concludendo con una dissolvenza incrociata che riprende la chiusura del Ginografo, ulteriore storia nella storia, altra falsa autobiografia di un emigrato tedesco in Brasile che scrive sul corpo delle donne amate, una delle tante opere fantasma di José Costa.
Ci vuole talento e padronanza della materia per architettare un simile impianto letterario e per scriverlo fino in fondo senza cadute di stile, senza scivolare nell’abisso della banalità o del kitsch, e altresì con una naturalezza che ha buon gioco nel produrre il complessivo effetto straniante.
I testi delle canzoni di Chico Buarque de Hollanda lasciano intuire l’ispirazione e la sensibilità del poeta, ma che Chico Buarque sia anche uno scrittore autentico lo si scopre leggendo un libro come Budapest.
Mauro Del Bianco