Franz Kafka e Felice Bauer- Prima parte: “Gentile signorina, mi chiamo Franz Kafka..”

1. Il primo incontro

Franz Kafka incontra Felice Bauer a Praga in casa del suo amico Max Brod, la sera del 13 agosto del 1912.
Lei ha 25 anni, è una dinamica dirigente berlinese della Parlograph, una ditta che produceva dittafoni, e si trova a Praga per lavoro.
Kafka la osserva per tutta la serata.
Lei non è particolarmente bella: pella secca, dentatura irregolare ( molti i denti d’oro) capelli atoni, naso quasi rotto, mento robusto, viso ossuto e vuoto ( la descrizione non certo lusinghiera, quasi da entomologo, è dello stesso Kafka).

Neanche il suo abbigliamento ha qualcosa di attrattivo: non la trovasse seduta a tavola, il giovane Franz penserebbe, per via del vestiario trascurato e quasi casalingo di lei, di trovarsi di fronte ad una domestica.

Eppure c’è qualcosa in lei che lo colpisce.
Probabilmente il fatto che appaia una donna così energica, dinamica, potenzialmente protettiva. Forse anche il suo essere una donna indipendente.
Forse, e più di ogni altra cosa, quello che lo attira è il fatto che lei abiti a Berlino, a 800 chilometri di distanza.
Per una scelta precisa di Kafka, la relazione è soprattutto una relazione epistolare.

2. Le prime lettere.

Kafka invia la prima lettera a Felice il 20 settembre del 1912, un mese e mezzo dopo il loro primo incontro.
Le scrive, come poi farà infinite altre volte, utilizzando la carta intestata dell’Assicurazione contro gli Infortuni dei Lavoratori, l’istituto presso il quale lavora dal 1908.
Il tono è formale, anche se è evidente, fin dalle prime battute il desiderio di avviare un corteggiamento:
“Gentile Signorina
Per il caso facilmente possibile che Lei possa non ricordarsi minimamente di me, mi presento un’altra volta: mi chiamo Franz Kafka e sono quello che per la prima volta La salutò a Praga quella sera in casa del Direttore Brod, poi le porse da un lato all’altro della tavola fotografie di un viaggio da Talia, l’una dopo l’altra, e infine con questa mano che ora batte i tasti, tenne la Sua con la quale Lei confermò la promessa di fare con lui l’anno venturo un viaggio in Palestina”.

La firma è ancora formale:

“Suo cordialmente devoto dott. Franz Kafka”.

Pochi giorni dopo, il 28 settembre, ricevuta una risposta probabilmente di cortesia, Kafka, riparte alla carica, questa volta scrivendo a mano. E’ appena la seconda lettera che scrive ad una giovane che ha visto una sola volta in vita sua, eppure non esita a mettere in campo una gentile invadenza, destinata a lasciare sconcertata l’interlocutrice.
L’avidità con la quale chiede di avere dettagli sulla vita di lei è quasi pirotecnica:

“Deve dunque riferire quando va in ufficio, che cosa ha mangiato per colazione, che cosa si vede dalla finestra del suo ufficio, che lavoro vi si svolge, come si chiamano i suoi amici e le amiche, perché Le si fanno i regali, chi intende rovinare la Sua salute regalandole dolci, e le mille cose delle quali non so l’esistenza né la possibilità” .

Segue a questa lettera un silenzio di due settimane. Turbato dalla mancanza di un cenno di riscontro, Kafka riprende l’iniziativa, sollecitando esplicitamente una risposta in una lettera del 13 ottobre

“Ma perché non mi ha scritto?” si lamenta , dopo alcune congetture sul possibile smarrimento della sua lettera .

Sempre più ansioso di ricevere una risposta da Felice, Kafka si rivolge addirittura ad una parente di lei, Sophie Friedmann, con due lettere del 14 e del 18 ottobre.
Franz prega la signora di investigare sui motivi del silenzio della giovane, facendole capire che gradirebbe una sua intercessione .

“Lei deve ammettere, gentile e cara Signora, che avevo ragione di scriverle e che la questione ha veramente bisogno di un angelo cortese”

Ricevuta l’agognata risposta, si precipita a scrivere di nuovo. La prova della sua ansia di rimettersi in contatto con Felice la fornisce il curioso esordio della lettera del 23 ottobre

“Gentile signorina anche se intorno alla mia scrivania stessero tutti e tre i miei direttori a guardare ciò che scrivo, Le devo rispondere subito, perché la Sua lettera scende come dalle nuvole alle quali si è alzato invano lo sguardo per tre settimane”.

3. L’abitudine di scriversi

La posta funzionava benissimo, nell’efficiente impero austroungarico: una lettera impostata a Praga alle sei di sera era già sul tavolo della destinataria alle dieci del mattino del giorno dopo.

I due si scrivono tutti i giorni e indirizzano la corrispondenza ai rispettivi uffici.

Così, ogni giorno, Kafka passa le sue mattinate in ufficio nella trepida attesa di una lettera della sua fidanzata e non appena riesce a trovare un momento libero dalle noiose incombenze del suo ruolo, si precipitava a scriverle.

A volte in alcune delle sue lettere affiora la preoccupazione di essere percepito come troppo invadente.

“Non deve credere che con una lettera interminabile come quella di ieri l’altro [..] io voglia portarle via oltre al tempo di leggerla anche il tempo di riposare e obbligarla a lunghe e puntuali risposte; dovrei infatti vergognarmi se in aggiunta ai Suoi faticosi giorni di lavoro io dovessi essere il tormento della sue sere” .
Ma non appena le lettere di lei tardano, lo scrittore entra in ambasce.

“Ora sono le 10 e mezzo di lunedì.- scrive il 4 novembre- Dalle 10 e mezzo di sabato aspetto una lettera e non è arrivato nulla. Io ho scritto ogni giorno ( non è affatto un rimprovero perché ciò mi ha reso felice) ma davvero non merito una parola?”

Kafka si dispera ogni volta che si rende conto che una lettera dell’amata è andata persa. Gli sembra di aver perso per sempre qualche cosa di lei, la supplica di riassumere il contenuto della lettera smarrita in dieci righe.

Dà in smanie alla semplice idea che non arrivino a destinazione anche le sue lettere:

“Le dà fastidio ricevere raccomandate? – scrive il 6 novembre- Le mando non solo per nervosismo, benché anche questa sia la ragione, ma per l’impressione che queste lettere arrivino più direttamente nelle sue mani […] Mi par di vedere la mano tesa di un energico portalettere berlinese che all’occorrenza La costringerebbe a prendere la lettera anche se non volesse” .

Nella sua ansia di comunicare con l’amata, una volta Kafka sogna di avere una postazione telegrafica in camera da letto, dalla quale vede apparire in tempo reale le frasi che lei compone per lui a 800 km. di distanza, esattamente come noi oggi riusciamo agevolmente a fare chattando con qualcuno.

Scrivere a Felice, in quei primi tempi del loro rapporto epistolare è quasi una precondizione di vita.

In una lettera del 5 novembre 1912 scrive:

“Se ora non le scrivessi non potrei addormentarmi dal malcontento”
Nella stessa lettera, poche righe più avanti, aggiunge una considerazione che ci fa capire anche quanto sia irrinunciabile per lui, insieme con lo scrivere, anche la qualità della scrittura stessa.
“Il mio cuore è relativamente sano, ma per un cuore umano non è facile reggere alla malinconia di scrivere male e alla felicità di scrivere”
La corrispondenza con Felice diventa in breve così convolgente che ad un mese e mezzo dall’inizio di questa corrispondenza fittissima e incalzante, è lo stesso Kafka, forse anche preoccupato per lo spazio che questa relazione epistolare rischia di sottrarre alla sua attività di scrittore, a proporre una tregua:

“Mi scriva una sola volta la settimana e precisamente in modo che la lettera mi arrivi di domenica. Infatti non sopporto le sue lettere quotidiane , non sono in grado di sopportarle”, scrive l’l’11 novembre del 1912.

Ma è un proposito di scarsa tenuta, se solo cinque giorni dopo parte alla volta di Berlino una lettera che comincia così:

“Carissima, non tormentarmi così! Non tormentarmi così! Anche oggi, sabato, mi lasci senza lettera, proprio oggi, mentre pensavo che dovesse arrivare con la certezza con la quale fa giorno dopo la notte”.

Ancora recriminazioni sull’irregolarità delle risposte di Felice contengono le lettere dei giorni successivi.
Lo scrittore ammette che andrebbe trovata un’intesa per regolare il flusso della corrispondenza, diradandolo, ma supplica Felice di discutere la questione con lui o di essere quanto meno preavvertito : “altrimenti- scrive il 19 novembre- c’è da impazzire”.

Al minimo accenno di stanca nel flusso della posta che gli arriva da Berlino, Kafka si abbandona a congetture angosciate sul venir meno dell’interesse di Felice nei suoi confronti:

“Come mi fai soffrire!- la rimprovera il 20- Mentre una tua parola scritta mi potrebbe fare felice! Ne hai abbastanza di me, non c’è altra spiegazione, infine non c’è da stupirsi..”

Quando, dopo tanta insistenza, Felice comincia a scrivergli spesso quanto vorrebbe, si lamenta della irregolarità delle consegne.

“Non che io abbia motivo di lamentarmi – scrive il 16 dicembre- ho avuto due lettere tanto ieri quanto ier l’altro [….] ma è proprio la regolarità quella che fa bene al cuore, quando la lettera arrivasse ogni giorno sempre alla stessa ora, quella stessa ora che reca il senso di pace, di verità, di ordine, dell’impossibilità di brutte sorprese”

FILIPPO CUSUMANO

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