Filippo Cusumano

“Non posso fare a meno di un altro e l’unico altro sei tu” – Il “compagno segreto di Sigmund Freud

freudfliess Nella foto che vedete qui accanto sono ritratti due grandi amici.
Uno dei due è uno degli uomini forse più geniali della storia, cioè SIGMUND FREUD.

L’altro è WILHELM FLIESS, suo compagno segreto e “sparring partner” intellettuale per diversi anni.

Per quindici anni, nel periodo più intenso e importante, dal punto di vista scientifico, della sua vita, Freud tiene con il collega Wilhelm Fliess , di due anni più giovane di lui, una corrispondenza quasi giornaliera.

I due si conoscono quando Fliess, arrivato a Vienna nel 1887 per la specializzazione, riceve da un amico il consiglio di frequentare le lezioni che Freud teneva sull’anatomia e la fisiologia del sistema nervoso.

Ben presto tra i due si afferma un rapporto di amicizia e già nella sua prima lettera, nel novembre del 1887, Freud si esprime così :

” Egregio amico e collega,
la mia lettera odierna è dettata da un motivo professionale; devo però iniziare confessando che spero di poter proseguire il rapporto con Lei, e che Lei mi ha lasciato una profonda impressione, la quale potrebbe facilmente indurmi a comunicarLe schiettamente in quale categoria di uomini sento di doverLa collocare.”

E’ la prima di una lunga serie di lettere tra i due. Quelle di Fliess sono andate perdute, mentre quelle di Freud a Fliess, circa 300, ci sono arrivate ( e la storia del loro acquisto e della loro pubblicazione nel 1985 è, a dir poco, romanzesca).

Attraverso l’intestazione delle lettere, che diviene con il tempo sempre più confidenziale, è possibile seguire l’evolvere della loro amicizia: dal formale “Egregio amico e collega” si passa allo “ Stimato amico”, e nel 1892 il Sie (Lei) lascia il posto ad un più familiare Du (tu).

Le lettere hanno vari motivi d’interesse.

Harold_Bloom_1175088470032881In primo luogo letterario. Harold Bloom ha scritto che basterebbe questo epistolario per considerare Freud uno dei più grandi scrittori del novecento.

Ovviamente le lettere sono interessanti anche dal punto di vista scientifico.
Come ho detto sopra Freud utilizza l’amico come sparring partner intellettuale: gli espone le sue idee, via via che le va costruendo, sollecitandolo ad esprimergli il suo pensiero in proposito. Spesso arriva persino ad allegare alle lettere le minute dei testi che va elaborando.

Tre delle opere fondamentali di Freud ( Studi sull’isteria, L’interpretazione dei sogni, Psicologia della vita quotidiana) prendono forma proprio nel periodo del rapporto di Freud con il suo “compagno segreto”.

Le lettere hanno, infine, un grandissimo valore umano. Consentono di esplorare un aspetto della vita di Freud che, probabilmente, senza questo carteggio, sarebbe rimasto per sempre in ombra.

Il rapporto tra Freud e Fliess sin dall’inizio si presenta con le caratteristiche di una relalzione amorosa, probabilmente reciproca, ma asimmetrica, cioè più sentita da parte di Freud.

Ecco cosa scrive Freud all’amico nel 1898, undici anni dopo il loro primo incontro:

“Sono contento ancora una volta di aver capito già 11 anni fa che mi era necessario amarti per poter arricchire la mia vita”

Ed ecco quello che scrive un anno dopo:

“Non ci può essere alcun sostituto per il contatto che una particolare, quasi femminile parte di me richiede”

E in una lettera del 1901:

“Come sai, nella mia vita una donna non è mai stato il sostituto di un compagno, di un amico”

Tra Freud e Fliess le cose finiscono nel peggiore dei modi.

FliesseFliess ricambia le confidenze scientifiche dell’amico, raccontandogli a sua volta i progressi che va facendo nel formulare alcune sue a dir poco singolari teorie.
Secondo Fliess l’espressione della periodicità delle attività vitali è da ricercare nel fenomeno delle mestruazioni
Ritiene di aver trovato la chiave di questa periodicità nell’applicazione di due numeri, il 28 e il 23.
Il primo deriva dalla periodicità naturale del ciclo mestruale, il secondo dall’intervallo tra la fine di un ciclo mestruale e l’inizio del successivo.
In più ritiene possibile concepire la bisessualità in ogni essere umano, e che il numero 28 sia espressione della componente femminile e il numero 23 di quella maschile.

Questi “periodi“ determinano, secondo Fliess, le fasi della nostra crescita, l’epoca delle nostre malattie, la data della nostra morte.
Fliess ritiene che tale ordine periodico interessi l’intero regno animale.
L’opera principale di Fliess, Der Ablauf des Lebens (“Il ritmo della vita“) del 1906 suscita un certo fermento a Berlino e a Vienna.

L’amicizia tra i due si incrina per il crescente scetticismo manifestato da Freud nei confronti delle teorie dell’amico.

Freud, che non intende rinunciare a questa amicizia, per circa due anni tenta di ricostituirla, giungendo perfino a proporre all’amico di scrivere insieme un libro sulla bisessualità dove lui si potrebbe occupare della parte clinica, mentre Fliess di quella anatomica e biologica.

Fliess, ormai diffidente, non accetta l’offerta anche perché ormai convinto che Freud iin realtà miri ad impadronirsi della sua scoperta.

La situazione precipita definitivamente quando nel 1904, Fliess scrive, chiedendo chiarimenti, a Freud: ha saputo che un giovane viennese, Otto Weininger , psicologo e filosofo, rivendica la primogenitura della teoria della bisessualità ed accusa esplicitamente Freud di aver fatto importanti rivelazioni al suo allievo Swoboda, intimo amico di Weininger.

Il conflitto diventa insanabile, nonostante i tentativi di Freud di ricucire, e i due smettono per sempre di incontrarsi e di scriversi.

P.S.

Nel 1935 Freud, in una lettera a una madre americana il cui figlio è omosessuale, scrive:

“L’omosessualità non è certo un vantaggio, ma non è nulla di vergognoso, non è un vizio né una degradazione e non può essere classificata come malattia (…).
Molti individui altamente rispettabili del passato e del presente sono stati omosessuali e tra loro alcuni
degli uomini più celebri che siano mai esistiti (Platone, Michelangelo,Leonardo da Vinci, ecc.)
E’ una grande ingiustizia e anche una crudeltà perseguitare l’omosessualità come un crimine”.

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N.B. Per la costruzione di questa nota ho utilizzato alcune informazioni tratte dal saggio di Gianna Sarra “La sindrome di Eloisa”.

FILIPPO CUSUMANO

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“Se la stessa vita, che è tutto, passa, perché non dovrebbe passare l’amore?!”

Un amore a Lisbona- terza e ultima parte.
5 La rottura

“Fernando, sono già quattro giorni che non si fa vivo e neppure si degna di scrivermi. Sempre lo stesso modo di comportarsi. (…) Dato che Fernando non ha motivo di chiudere, si comporta così. Bene, in questo modo non sono disposta a continuare. Non sono il suo ideale, lo comprendo chiaramente, ciò di cui unicamente mi lamento è che il Signore lo abbia capito solo quasi dopo un anno.”(…)

Inizia così la lettera con cui Ophelia cerca di mettere alle strette Pessoa.

Dopo un silenzio durato alcuni giorni, il poeta risponde :

“Ophelinha, la ringrazio per la lettera. Essa mi ha portato dolore e sollievo allo stesso tempo. Dolore perché queste cose addolorano sempre; sollievo perché, in verità, l’unica soluzione è questa: non prolungare oltre una situazione che ormai non trova più una giustificazione nell’amore,né da una parte né dall’altra.”

Proprio come suggerisce l’intera produzione poetica e letteraria, Pessoa ha spesso difficoltà ad affrontare le situazioni della vita in maniera coraggiosa: tutte le cose terrene, compresi i sentimenti, sono qualcosa di superfluo, non sufficientemente importanti; e tuttavia, allo stesso tempo, troppo complicate da gestire.

Per Pessoa la vita vera è la letteratura:

” Tutta la letteratura consiste nello sforzo di rendere reale la vita. Come tutti sanno, anche quando agiscono senza saperlo, la vita è assolutamente irreale. Le impressioni sono tutte intrasmissibili se non le rendiamo letterarie.” .

Vivere di letteratura e di sogno, allontanandosi dalla vita e dalla realtà: questo è il suo credo:

”Vivere questa vita lontano dalle emozioni e dai pensieri; viverla solo nel pensiero delle emozioni e nell’emozione dei pensieri. Mantenere, nell’ombra, quella nobile fierezza dell’individualità che consiste nel non insistere per nulla con la vita.”

Per il poeta che dedica l’intera esistenza all’evasione nella dimensione onirica e fittizia della sua letteratura, anche porre fine all’unico rapporto amoroso della sua vita rappresenta un impegno troppo difficile da realizzare.

Per questo, proprio come per l’ufficializzazione del fidanzamento, affida prima al silenzio, poi a una lettera, il compito di formalizzare la fine dell’amore.

Per la prima volta, in quest’ultima lettera datata 29 novembre 1920, Pessoa si libera, dà voce alla sua anima, e lo fa attraverso la letteratura, deponendo finalmente la maschera.

Se le epistole scambiate fino ad allora portavano ben poche tracce della sua grandezza artistica, se fino ad ora il linguaggio familiare, talvolta puerile, lo ha reso simile ad un Uomo comune e mortale, ora per la prima volta Pessoa è davvero se stesso, è Poeta immortale.

Ill registro cambia e trapela la cifra stilistica dell’uomo di grande cultura e profondità fino ad allora rimasto in disparte.

“Il Tempo, che invecchia i volti e i capelli, invecchia anche, ma ancor più rapidamente, gli affetti violenti.

La maggior parte della gente, per la sua stupidità, riesce a non accorgersene, e crede di continuare ad amare perché ha contratto l’abitudine di sentire se stessa che ama .

Le creature superiori, tuttavia, sono private della possibilità di codesta illusione, perché non possono credere che l’amore sia duraturo, né quando sentono che esso è finito, si sbagliano interpretando come amore la stima, o la gratitudine, che esso ha lasciato.

Se la stessa vita, che è tutto, passa, perché non dovrebbero passare l’amore, il dolore e tutte le altre cose che sono parti della vita?.”

Per Pessoa l’amore per Ophelia è dunque una passione violenta, mascherata dalle apparenze di un fidanzamento convenzionale, ma anche passione effimera, incapace di dare felicità duratura.

Così descrive se stesso ne Il libro dell’Inquietudine:

(…) ”Ed io sono così, futile e sensibile, capace di impulsi violenti e coinvolgenti; buoni e cattivi; nobili e vili; ma mai di un sentimento che perduri, mai di una emozione che continui e penetri nella sostanza dell’anima. (…) Tutto mi interessa e nulla mi prende.” (…)

Pessoa parla a Ophelia, ma finalmente parla soprattutto per se stesso.

Pessoa, fino ad ora manifestatosi come persona mite, umile e modesta, improvvisamente si eleva a “creatura superiore”, capace di non illudersi e squarciare il famoso velo di Maya, di vedere al dilà delle cose, prima della “maggior parte della gente”.

L’amore finisce, come tutte le cose; la sua produzione poetica invece, si tramanderà, lo renderà immortale, ed è per questo che vale la pena investire su di essa. “È meglio scrivere piuttosto che osare vivere” ammetterà ne Il libro dell’Inquietudine.

Nella lettera di rottura, cui cerca di dare toni pacati e affettuosi, il poeta fa riferimento all’inutilità dell’amore:

”La prego, siamo l’uno con l’altro come due persone che si conoscono dall’infanzia (…) che conservano sempre, in una piega dell’animo, il ricordo profondo del loro amore antico e inutile.”

1.6 Il riavvicinamento

Nove anni dopo Ophelia torna a credere nelle parole e nell’affetto di Pessoa.

Il riavvicinamento avviene nel 1929 quando il poeta comincia a frequentare il nipote di Ophelia, Carlos Queiroz.

Ophelia vede una foto dell’ex fidanzato regalata a Carlos e ne chiede una copia.

Pessoa risponde alla lettera della donna che lo ringrazia della foto:

“Nel mio esilio, che sono io stesso, la sua lettera è arrivata come un’ allegria familiare”.

Con una frase efficacissima e di grande effetto, il poeta definisceì la situazione di solitudine in cui vive: isolato, a tu per tu con se stesso, come in fondo aveva sempre desiderato.

Senza Ophelia, l’unico amore in carne ed ossa della sua vita e l’unica capace in una certa misura di occupare i suoi pensieri, in quei nove anni il poeta si è completamente ritirato nella sua letteratura.

Troviamo la sua concezione dei rapporti sociali e dell’insofferenza con cui li viveva ancora una volta ne Il libro dell’inquietudine:

“Del resto, mi pesa solo l’idea di essere costretto a stare in contatto con qualcun altro. Un semplice invito a cena con un amico mi provoca un’angoscia difficile da definire.
L’idea di un qualsiasi obbligo sociale – andare a un funerale, trattare insieme a qualcuno una questione di ufficio, andare alla stazione ad attendere una persona qualsiasi, conosciuta o sconosciuta – solo l’idea mi sconvolge i pensieri per un’intera giornata, e a volte comincio a preoccuparmi il giorno prima, e dormo male. Le mie abitudini sono attinenti alla solitudine e non agli uomini”

Riprende così lo scambio epistolare e con esso il namoro.

La donna non lavora più e vive con la sorella, ma Pessoa comincia a frequentare la casa in qualità di amico di Carlos.

Qualcosa è cambiato però, non è più l’uomo di cui Ophelia si era innamorata nove anni prima. Dirà, diversi anni più tardi:

“Fernando era diverso. Non soltanto fisicamente (era abbastanza più grasso), ma principalmente nel modo di essere. Era sempre nervoso, viveva ossessionato dalla sua opera. Spesso mi diceva di avere paura di non potermi fare felice, a causa del tempo che dedicava alla sua opera” .

E in effetti in questa seconda fase Ophelia riceve molte meno attenzioni dal poeta, i due si incontrano molto meno e anche la corrispondenza epistolare è meno fitta e affettuosa.

Pessoa ha negli anni sviluppato una vera e propria ossessione per la sua opera, che è diventato l’unico motivo in grado di dare valore a quella che lui ritiene un’esistenza inutile.

E il poeta non manca di chiarirlo alla donna:

“Sono arrivato a quell’età in cui si ha il pieno dominio delle proprie qualità e l’intelligenza raggiunge la sua massima forza e capacità. È dunque il momento di realizzare la mia opera letteraria(…). Per realizzare quest’opera ho bisogno di tranquillità e di isolamento.”

Pessoa non vuole illudere Ophelia, nè prometterle un matrimonio o un legame solenne e duraturo.

”Tutta la mia vita futura dipende dal fatto che io riesca o meno a fare quanto detto: e in breve tempo. Del resto la mia vita gira attorno alla mia opera letteraria. Tutto il resto della vita ha per me un interesse secondario.”

Il troppo tempo dedicato alla letteratura ha poi acutizzato le preoccupazioni economiche del poeta, poiché il tempo dedicato al lavoro è notevolmente diminuito.

Affannato dal conflitto tra ciò che “deve” fare – la sua opera – e ciò che dovrebbe fare per sopravvivere – lavorare – il poeta ha trovato sollievo nell’alcol.

Se nel 1920 insomma, Ophelia avrebbe potuto sperare nella coronazione del suo sogno d’amore, nove anni più tardi è palese fin da subito che non ci sono speranze.

Smettono presto di vedersi.
Il poeta muore 6 anni dopo, nel 1935, per problemi epatici, a soli 47 anni.

Chiude la sua vita in perfetta solitudine, come aveva desiderato, senza mai rinunciare al conforto della scrittura :

“Pieno di tristezza scrivo nella mia tranquilla stanza, solo come sono sempre stato, solo come sempre sarò. E penso se la mia voce, apparentemente così incolore, non possa incarnare la sostanza di migliaia di voci, la fame di raccontarsi di migliaia di vite, la pazienza di milioni di anime sottomesse come la mia, nel destino quotidiano, al sogno inutile, alla speranza senza memoria” (Il libro dell’inquietitudine”)

FILIPPO CUSUMANO

“Bebè piccino, mi è piaciuta tanto la tua lettera”

Un amore a Lisbona- Seconda parte.

31 maggio 1920
“Bebè piccino del Nininho-ninho,
Oh!
Ti scrivo questa letteina per dire al Bebè piccino che mi è piaciuta tanto la sua letteina.
Oh!
Ed ero tanto triste pecchè non avevo il mio Bebè vicino a dargli tanti cicini.
Oh! Questo Nininho è così piccininino! Oggi questo Nininho qui non viene a Belém pecchè non sa se funzionano i tram e deve essere qui alle sei. Domani, se tutto va bene, il tuo Nininho esce di qui alle cinque e mezzo (cioè alla calza delle cinque e mezzo) .
Domani il mio Bebè appetta il suo Nininho, sì? A Belém, sì, sì?
Cicini, cicini e cicini
Fernando”

Sembra quasi impossibile credere che questa lettera sia stata scritta dallo stesso autore dell’indimenticabile Il libro dell’inquietudine.

Eppure questa lettera condensa tutte le caratteristiche principali del linguaggio e dello stile con cui il poeta si rivolge all’amata.

Un linguaggio puerile che segna una sorta di regressione all’infanzia, un modo di esprimere tenerezza e sentimento in maniera evidentemente troppo banale per poter appartenere al Fernando Pessoa scrittore.

E infatti la funzione delle lettere è quella di ancorare a terra l’uomo plurale perennemente in conflitto con il mondo reale, renderlo persona normale, addirittura mediocre e triviale.

Ancora una volta, come dice Antonio Tabucchi, sembra che “Pessoa abbia delegato a un altro, che era lui stesso, il compito di vivere una storia d’amore e di scrivere lettere d’amore alla signorina Ophela Queiroz” .
Ancora una volta l’autore indossa una maschera, usando buffi vezzeggiativi: per la giovane Ophelia lui è il ‘suo Nininho’ o il ‘suo Ibis’ .

Bebé, Bebecito, Bebé-angelito, Bebé cattivo, birichino, piccolino.

Ninita o Ibis sono invece i nomignoli con cui si rivolge all’amata. Insomma, proprio come fanno tutti i teneri amanti, anche il grande poeta inventa un linguaggio intimo ed esclusivo, che giustificherà molti anni più tardi, nella sua più celebre poesia firmata Alvaro da Campos:

Tutte le lettere d’amore sono
ridicole.
Non sarebbero lettere d’amore se non fossero
ridicole.
Scrissi anch’io, ai miei tempi, lettere d’amore,
come le altre,
ridicole.
Le lettere d’amore, se c’è amore,
devono essere
ridicole.
Ma, dopotutto,
solo le persone che non hanno mai scritto
lettere d’amore
sono
ridicole.
(… )
(Tutte le parole stravaganti,
come i sentimenti stravaganti,
sono naturalmente ridicole).

4 – Gli ostacoli al matrimonio

(…) “Se mi dovessi sposare, non potrei sposarmi che con lei. Resta da sapere se il matrimonio o vita coniugale (o come lo si voglia chiamare) sia una forma di vita che possa andare d’accordo con la mia vita interiore. Ne dubito”. (…)

Solo nel 1929 il poeta ammette ciò che per tutto il periodo della relazione con Ophelia ha dimostrato più attraverso i fatti che con le parole.

Fernando Pessoa non ha mai avuto alcuna intenzione di sposarsi perché un impegno simile comporterebbe l’intrusione di un’altra persona nella sua vita; tra lui e la sua opera, tra lui e il suo universo immaginario.

Sposarsi, dedicare la vita in maniera completa e totalizzante a una donna, significherebbe deporre la maschera, diventare una persona comune, adattarsi alle responsabilità sociali proprie di un’esistenza borghese.

In un certo senso, poi, il poeta ha già sposato l’oggetto dei suoi desideri quando ha scoperto la vocazione letteraria.

La letteratura, o meglio, la sua letteratura, è il credo di Pessoa, e con essa lo scrittore ha già stipulato da tempo l’unico vero legame matrimoniale che per lui è possibile.

Ciò non significa che non abbia amato Ophelia, ma non al punto di porla al primo posto. Ophelia è l’amore terreno, e come tutte le cose terrene per Pessoa non è abbastanza, non è completo, non era in grado di appagarlo.

D’altra parte è naturale che la giovane, come ogni persona innamorata, riponga forti aspettative nella sua relazione con il poeta.

Ugualmente naturale che , come tutte le sue coetanee, aspiri ad una vita da moglie e da madre ( non erano questi forse gli unici ruoli significativi che le convenzioni sociali dell’epoca ritenevano veramente importanti e significativi per una donna?).

Tuttavia, proprio perché perdutamente innamorata, non trova la forza di troncare di netto la sua relazione con un uomo che durante tutto il periodo del namoro non manca di rappresentarle gli ostacoli e gli impedimenti di una eventuale vita comune.

Primo ostacolo ad una relazione stabile e duratura è la cagionevole salute del poeta.

Troppo malato, troppo preoccupato per le sue innumerevoli ricadute, Pessoa arriva a descrivere dettagliatamente sintomi e malesseri, riversando tutte le sue ansia sulla premurosa Ophelia:

(…) “Sono due notti che non dormo, poiché l’angina mi procura una costante salivazione, e mi succede stupidamente di dover sputare ogni due minuti , il che non rilascia riposare… Non mi è possibile scrivere di più, a causa della febbre e del mal di testa che ho.” (…)

Pessoa inoltre si dimostra dispiaciuto nel riconoscere quanto la sua malattia possa essere di peso per la giovane :

(…) “Io capisco perfettamente come, godendo di buona salute, tu abbia poca pazienza per quello che possono soffrire gli altri, anche quando codesti “altri” sono, ad esempio, io, che dici di amare”. (…)

A mio parere queste preoccupazioni non sono che un inconscio tentativo di allontanare Ophelia: come avrebbe potuto una giovane, bella e sana ragazza sposare un uomo vecchio e malato come lui? Non meritava forse di meglio?

Secondo impedimento al matrimonio è la situazione economica del poeta. Un impiegato, non ricco, non povero, su cui pesa però il sostentamento della madre e dei fratelli trasferitisi dal Transvaal a Lisbona all’inizio del 1920.

Pessoa affitta un appartamento all’Estrela per vivere con loro, lasciando le sue stanze del quartiere periferico di Benfica.

Il poeta sa che in una situazione simile non avrebbe i mezzi per poter far vivere agiatamente una moglie.

Dopo la chiusura dell’Impresa Felix, Valladas e Freitas, il poeta ha trovato impiego presso un’altra ditta nel Cais do Sodré , e progetta di mettere in piedi una nuova impresa commerciale con scopi più ambiziosi di quella fallita alcuni anni prima .

Ma, come racconta lui stesso in una lettera amareggiata, le cose non procedono, si trascinano, anche a causa del debole sostegno dei futuri soci:

“Vorrebbero che io facessi tutto, che mi occupassi, oltre che di avere le idee e di indicare l’organizzazione della cosa, anche di trovare i capitali per realizzare concretamente il progetto.” (…)

La possibilità di un lavoro ben retribuito d’altra parte non è mai il vero obiettivo del poeta poiché la prospettiva di vincolarsi ad un impiego con un orario fisso comprometterebbe la sua libertà di scrittore.

Per questo rifiuta anche la cattedra di Lingua e letteratura inglese alla facoltà di lettere di Coimbra, più volte offertagli dall’allora direttore Coelho de Carvalho.

A causa di questo atteggiamento indipendente, Pessoa si trova talvolta in difficoltà economiche, e questo stato di cose è uno dei principali impedimenti al matrimonio.

Terzo ostacolo al coronamento ufficiale dell’amore è la famiglia della giovane. Ciò che non piace a Fernando è il suo crescente, anche se lontano, intervento nel fidanzamento:

(…)” Arrivo fino a credere – le scrive il poeta – che l’influenza costante, insistente, abile di queste persone, che non bisticciano con te, non si oppongono in modo evidente, ma ti lavorano lentamente l’animo, riuscirà a far sì che non mi ami. Ti sento già diversa; non sei più la stessa che eri nell’ufficio (…) Guarda, bambina, non vedo affatto chiaro nel futuro. Voglio dire: non vedo cosa accadrà o che sarà di noi, dato il tuo modo di cedere sempre di più all’influenza della tua famiglia e di essere in tutto di un’opinione contraria alla mia. In ufficio eri più dolce, più affettuosa, più amorosa”. (…) .

E ancora:

(…) “Quando mi dici che desideri che io ti sposi, è un peccato che tu non aggiunga che contemporaneamente dovrei sposarmi con tua sorella, tuo cognato, tuo nipote e non so quanti clienti di tua sorella.” (…)

In realtà quello delle famiglia non è una vera intromissione, ma semplicemente la naturale apprensione per la sorte di una figlia appena diciannovenne.

Pessoa infatti non solo è di dodici anni più vecchio, non solo non è un uomo particolarmente facoltoso, ma, come racconta lei stessa in una testimonianza raccolta e trascritta dalla nipote Maria da Graça Queiroz dopo la morte del poeta, non accetta mai presentarsi alla famiglia di lei:

“Il nostro fu un namoro semplice, e in certa misura uguale a quello di tutti, sebbene Fernando non avesse mai voluto presentarsi a casa mia, come sarebbe stato normale per un innamorato. Mi diceva: “Sai, devi capire che è una cosa da persone comuni, e io non sono una persona comune”. Io lo capivo e lo accettavo così com’era. Spesso mi diceva anche: “non dire a nessuno che noi ‘amoreggiamo’. È ridicolo. Noi ci amiamo” .

Pessoa è un solitario, non ha amici cui affidare turbamenti e malumori, non ama il pettegolezzo e preferisce tenere le cose che lo riguardano per sé.

Pessoa non ammette l’intromissione di terzi nella relazione, vorrebbe tenerne segreta persino l’esistenza.

Per questo il poeta non ama usare il telefono per comunicare:

(…)”Non ti ho telefonato (…) perché non dispongo di un telefono dal quale parlare senza farmi sentire da altri, e non mi piace farmi sentire da altri. I tre telefoni dai quali a volte ti chiamo sono: uno nel caffè Arcada , e lì significa praticamente parlare in pubblico; un altro nella cartoleria Vieira, dove le condizioni sono identiche; il terzo in un ufficio che frequento, e qui l’apparecchio è nello stanzone principale, in mezzo agli impiegati.”(…)

Questa riservatezza, quest’ incapacità di accettare la presenza di altri nella loro relazione, deriva dalla sua naturale tensione all’isolamento.

Pessoa ama Ophelia, ma più di ogni altra cosa ama l’idea del suo rapporto con lei. Ama la routine del passeggiare insieme, dello scambiarsi tenere lettere, ama la sua gracilità, la sua freschezza.

Ma non è diponibile ad accettare tutte le logiche sociali e relazionali che un matrimonio comporta.

FILIPPO CUSUMANO

“Chi ama davvero non scrive lettere che sembrano requisitorie avvocatesche”

Un amore a Lisbona- Parte prima.

1- Le vite altrui

Fernando Pessoa vive tra il 1888 e il 1935, e passa la sua vita tra Lisbona e il Sudafrica.
Solo dopo la morte diventa il portavoce della letteratura portoghese del primo Novecento, e viene proclamato emblema di una poetica intrisa di inquietudine, sogno, sublimazione.

E’ anche il poeta simbolo di una città, Lisbona, come Kafka con Praga o Joyce con Dublino.

Personaggio complesso, impenetrabile, portatore di identità plurime e contrastanti, poeta dalla coscienza talmente frammentata da richiedere la creazione di entità distinte, eteronimi dotati di una propria storia, un proprio vissuto, una propria coscienza letteraria.

L’impiegato commerciale Fernando Pessoa è anche e soprattutto il vecchio maestro naturalista Alberto Caeiro, l’ingegnere omosessuale Alvaro de Campos, il medico materialista Ricardo Reis.

E’ anche e soprattutto l’aiuto contabile Bernardo Soares, un semieteronimo, l’alter ego più manifesto la cui biografia si sovrappone quasi perfettamente a quella del suo creatore.

“Mi sento multiplo. Sono come una stanza dagli innumerevoli specchi fantastici che distorcono in riflessi falsi un ‘unica anteriore realtà che non è in nessuno ed è in tutti” , scrive l’eteronimo Soares in uno dei numerosi frammenti tratti dal Libro dell’Inquietudine.

Come a dire che una vita sola non basta, come a cercare di superare l’unicità dell’essere e la finitezza dell’uomo.

Gli eteronimi non sono sdoppiamenti di una personalità, ma frammenti inscindibili della stessa.

La vita di Pessoa è plurale, non solo per l’intensità con cui vivono i suoi eteronimi, ma anche perché il poeta vive nello stesso tempo la vita ideale e immaginifica dello scrittore ortonimo – il creatore degli eteronimi- , e quella abitudinaria e modesta dell’ uomo d’affari, intelligente benché fallimentare per mancanza di mezzi materiali.

Tuttavia, come dice bene Antonio Tabucchi, è un “personaggio che visse una vita da impiegato di concetto come se fosse un impiegato di concetto, trattò se stesso come se fosse un altro, scrisse poesie sue come se fossero altrui” .

Pessoa si ripara dietro sembianze altrui , vive altrui vite – seppur immaginarie- proprio perché incapace di accettare la sua.

E anche, e soprattutto, di questa plurima e controversa natura si nutre il rapporto tra il poeta e l’unica donna della sua vita: Ophelia Quéiroz.

2- Il Namoro

Si conoscono nell’ufficio commerciale dell’impresa Félix dove Pessoa lavora insieme a tre soci.

Fornito di un’ottima padronanza dell’inglese e del francese, il poeta si occupa dei rapporti con gli esteri, mentre l’appena diciannovenne Ophelia è assunta come dattilografa.

Nonostante i dodici anni di differenza, l’intesa tra i due scatta immediatamente.

Intesa che lo schivo e riservato Pessoa si guarda bene dal far trapelare in presenza dei soci, ma che si manifesta non appena i due restano soli attraverso gentilezze e attenzioni continue.

Presto tra i due si innesca un seduttivo gioco di sguardi e fugaci bigliettini lasciati sulla scrivania.

E’ il periodo del cosiddetto “namoro”, delle prime confidenze, di una scoperta affinità, delle schermaglie amorose e delle prime tenerezze, della banalità dei cioccolatini e dei piccoli doni.

Proprio come accade a tutte le persone che si attraggono, si cercano e si desiderano.

Poi un giorno, improvvisamente, lui le dichiara il suo amore, declamando l’atto secondo dell’Amleto:

“Oh diletta Ofelia, io son maldestro nel maneggiare versi: e non posseggo arte alcuna a contare sillabe e accenti dei miei gemiti. Ma che io ti amo più di ogni altra cosa, oh suprema tra tutte le altre cose, fino all’ultimo estremo, credilo!” .

Il fatto che la dichiarazione sia affidata a un personaggio letterario, una sorta di ulteriore alter-ego preso in prestito dalla tradizione, dimostra l’incapacità del poeta di far suo un concetto troppo gravoso e menzognero; l’elevazione di Ophelia a “suprema fra tutte le cose”, quando in realtà per lui la “suprema tra tutte le cose” è e rimarrà sempre la letteratura.

La vera e propria corrispondenza epistolare comincia solo dopo il primo bacio.

E’ lei a scrivere per prima, turbata per l’ apparente indifferenza dimostrata da Pessoa nei giorni successivi al “misfatto”.

(…)“Avrò da lei la ricompensa che desidero? Temo che non l’avrò, visto che lei non ne ha mai parlato, e se io avessi la piena certezza che non l’otterrò mai, le giuro, Fernandinho mio, che preferirei allontanarmi da lei per sempre, sebbene con grande sacrificio, anziché pensare che non sarò mai sua e continuare come adesso.
Fernandinho, se non ha mai pensato a metter su famiglia e se nemmeno ci pensa, le chiedo in nome di tutto e in nome della gioia di sua sorella, di dirmelo per iscritto, di comunicarmi le sue intenzioni su di me. (…) Vivere nella completa incertezza mortifica enormemente e io preferirei la delusione al vivere come un’illusa”. (…)

E’ datata Primo Marzo 1920 la prima lettere del poeta:

(…) “Chi ama davvero non scrive lettere che sembrano requisitorie avvocatesche. L’amore non studia così tanto le cose, né tratta gli altri come rei da ‘incastrare’” . (…)

La lettera si chiude con una sorta di dichiarazione d’impegno verso la giovane donna:

(…) “Le mando il ‘documento scritto ’ che mi chiede. La mia firma è autenticata dal notaio Eugenio Silva” .

Se Fernando Pessoa fosse una persona comune, questa lettera rappresenterebbe l’inizio di un fidanzamento ufficiale.

Ma Pessoa non è una persona comune; è un uomo dotato di grande sensibilità ma anche di forte egoismo, abitato da inquietudini e paranoie, inadeguato alla vita reale, abituato a rintanarsi in un mondo ideale e onirico.

Incapace di vivere profondi rapporti con il prossimo, di dedicarsi e aprirsi completamente, individua il vero amore nella sua opera, mai disposto a sostituirla con la completa dedizione per una donna, con un rapporto vissuto in maniera totalizzante.

E così la relazione tra Pessoa e Ophelia manterrà le caratteristiche proprie del namoro.

Un namoro eterno e involuto, determinato dall’incapacità del poeta di prendere una decisione definitiva, di concretizzare una passione rimasta ai limiti del platonico,

“una storia d’amore segretissima e casta, così ottimisticamente puerile e insieme così senza speranza, che potrebbe sembrare ridicola se non partecipasse, proprio come i veri grandi amori, del ridicolo e del sublime.”

Una fitta corrispondenza epistolare accompagna i nove mesi della loro frequentazione, e, a nove anni di distanza, un altro breve periodo in cui i due si ritrovano.

Le lettere generalmente sono recapitate quotidianamente da Osorio, il fattorino dell’ufficio, soprattutto dopo l’uscita di Ophelia dalla ditta.

Sono state pubblicate dalla donna solo quarantatrè anni dopo la morte del poeta, insieme ad alcune dichiarazioni.

FILIPPO CUSUMANO

“Il matematico indiano” di David Leavitt

il matematico indianoCambridge, 1914.

G.H. Hardy , a soli  37 anni, è considerato il  più brillante matematico inglese del suo tempo.

Ha un bell’appartamento al Trinity College, nel quale vive con una gatta di nome Hermione.

E’ un uomo alla perenne ricerca di qualcosa, anche se appare a tutti come appagato e soddisfatto.  E’ un omosessuale, ma pratica il suo “vizio” con la prudenza necessaria in una società ancora dominata dallo scandalo Wilde.

Un giorno  riceve una lettera da un impiegato indiano, Srinivasa Ramanujan, il quale dichiara di aver risolto un importante e complesso problema matematico, al quale da tempo lo stesso Hardy si applica senza successo.

La prima reazione è di scetticismo: possibile che un piccolo burocrate sia riuscito, senza alcuna preparazione scolastica, animato dalla sola passione per la matematica, ad arrivare molto più avanti di lui nella soluzione di quel problema?

La lettera, però, è molto lunga . Rileggendola a fondo, dopo aver in un primo momento pensato di cestinarla, Hardy si accorge di trovarsi di fronte ad un diamante grezzo di eccezionale valore.

Certo, fintanto che questo diamante rimane dov’è, è difficile che possa irradiare la sua luce, pensa Hardy.

L’occasione per entrare in contatto con Ramanujan e verificare più da vicino le sue qualità si presenta quasi subito.

Un amico di Hardy, a sua volta matematico, è in procinto di partire per l’India con la moglie.

hardy2Hardy lo incarica di contattare l’impiegato e di verificare la sua  disponibilità a trasferirsi a Cambridge.

Il progetto, pur tra mille difficoltà, legate soprattutto alla resistenza del giovane all’idea di lasciare al sua famiglia ( una madre autoritaria e una giovanissima moglie, tiranneggiata dalla suocera) alla fine va in porto.

Lo studioso esperto e riconosciuto e il giovane talento finalmente si incontrano e cominciano a lavorare insieme.

Trai due si sviluppa  un rapporto quasi simbiotico, tra i cui ingredienti non c’è solo la comune passione per la matematica , ma anche,  nonostante la differenza d’età, di cultura, di posizione sociale, una notevole vicinanza umana.

Rapporto fruttuosissimo sul piano dei risultati, anche se destinato a risolversi in modo drammatico.

La lontananza da casa, lo stress per lo sforzo di raggiungere i risultati che si è prefisso, la difficoltà di procurarsi in misura sufficiente il cibo vegetariano ( il periodo è quello della prima guerra mondiale) minano la già fragile salute del matematico, che nel 1919 torna in India, dove è arrivata l’eco dei suoi successi e dove viene accolto come una star, e lì muore poco dopo.

Questa, in poche battute, è la storia-  vera-  che fornisce la trama al romanzo “Il matematico indiano” di David Leavitt.

Va detto subito che siamo di fronte ad un libro di prim’ordine.

leavittE’ passato un quarto di secolo dall’eplosione letteraria di Leavitt e dal suo folgorante esordio a soli 23 anni con i racconti di “Ballo di famiglia” ( Family dancing).

Etichettato negli anni successivi come autore minimalista, come cantore delle inquietitudini e delle problematiche del mondo gay, con questo libro, frutto anche di un notevolissimo lavoro di ricerca, Leavitt dimostra di essere uno scrittore a tutto tondo, forse il più grande, insieme a Jonathan Franzen, della generazione di mezzo, quella dei cinquantenni che arrivano alle spalle dei grandi vecchi che hanno dominato la scena nell’ultima parte  del secolo scorso ( Saul Bellow, Philiph Roth, Norman Mailer, Tom Wolfe).

Il fatto che i due protagonisti del libro parlino tra loro quasi esclusivamente di matematica non deve indurre a pensare che “Il matematico indiano” sia un libro ostico e di difficile lettura.

E’ invece, nonostante le circa seicento pagine, un libro avvincente.

Di quelli che si “divorano”.

RamanujanLa passione per la matematica è lo straordinario collante che unisce e fa interagire tra loro i  due personaggi, ma il libro pur addentrandosi abbastanza nel versante tecnico della vicenda- il tentativo di arrivare alla dimostrazione di un’ipotesi matematica- restituisce soprattutto l’atmosfera della  Cambridge del periodo della prima guerra mondiale: quasi un’isola felice per la libertà di espressione del pensiero e per la tolleranza ( anche nei confronti dell’omosessualità) che vi regnavano, a differenza di quello che accadeva nel resto della ancora puritanissima Inghilterra postvittoriana.

Il matematico indiano, insomma, non è solo un romanzo che ci racconta la vita di due studiosi.

E’ anche l’affresco di un’epoca.

E’ anche la storia di due culture diverse, quella inglese e quella indiana, che si confrontano continuamente.

Ovviamente per coloro che hanno la passione per la matematica, questo libro è il non plus ultra. Un matematico, infatti, diversamente da me, che sono un profano della materia, troverà avvincente anche quella parte del libro in cui vengono descritti i tentattivi dei due studiosi di venire a capo dell’enigma al quale stavano lavorando.

Note

HARDYVale la pena di ricordare che, quando  gli fu chiesto quale fosse il suo più grande contributo alla matematica, Hardy rispose senza esitazione che era stato la scoperta di Ramanujan. Hardy definì la loro collaborazione “l’unico incidente romantico della mia vita”.

“I limiti della sua conoscenza erano sorprendenti come la sua profondità. Era un uomo capace di risolvere equazioni modulari e teoremi… in modi mai visti prima, la cui padronanza delle frazioni continue era… superiore a quella di ogni altro matematico del mondo, che ha trovato da solo l’equazione funzionale della funzione zeta e i termini più importanti di molti dei più famosi problemi nella teoria analitica dei numeri; e tuttavia non aveva mai sentito parlare di una funzione doppiamente periodica o del teorema di Cauchy, e aveva una vaga idea di cosa fosse una funzione a variabili complesse…”

Esiste un libro che racconta le vicende di Srinivasa Ramanujan, si intitola  “L’uomo che vide  l’infinito” di Robert Kanigel ( ediz. Rizzoli).Trascrivo una frase di questo libro:

Ramanujan fu un matematico così grande che il suo nome trascende le gelosie, il più superlativamente grande matematico che l’india abbia prodotto nell’ultimo migliaio d’anni. I suoi sbalzi di intuizione confondono i matematici ancor oggi, sette decenni dopo la sua morte. I suoi scritti vengono scandagliati per i loro segreti. I suoi teoremi vengono applicati in aree difficilmente immaginabili quando era in vita.

FILIPPO CUSUMANO

Franz Kafka e Felice Bauer- seconda parte: “Un innamorato misero ed estremamente scomodo”.

4. L’amore: i discorsi a distanza.

Le lettere di Kafka a Felice per certi versi assomigliano ad una partitura musicale.

Si parte con un adagio, costituito dalle prime lettere misurate e compunte, per arrivare al crescendo di quelle di poco successive.

Il corteggiamento da discreto si fa manifesto. Dalla cortesia e dal formalismo iniziale Kafka passa abbastanza presto ai toni quasi imperativi di chi, mettendosi in gioco ed esponendo i suoi sentimenti, si sente quasi autorizzato a pretendere di essere corrisposto.

Felice, in breve, da “Gentile signorina” ( 20 settembre1912) diventa la “Cara Signorina Felice” ( 1 novembre, ma già al 7 era diventata “Carissima”).

Prestissimo diventerà semplicemente “ cara” oppure “mia cara” o “carissima” con un crescendo che conduce alla lettera del 4 dicembre, che inizia con un “Oh, diletta, infinitamente amata”, per poi stabilizzarsi, nel semplice “cara”, ripetuto più volte nel corso della stessa lettera.

L’attrazione sentimentale di Kafka per Felice, nei primi tempi della loro relazione epistolare, appare come un fiume che sale giorno per giorno.

Il primo varco nel quale lo scrittore cerca di insinuarsi è quello del superamento del “lei”.
In una lettera dell’11 novembre troviamo la prima allusione
“Come è bello sentirsi dare del tu da Lei, sia pure soltanto in una citazione!” .

Nella lettera successiva, dello stesso giorno, il “lei” ed il “tu” si alternano.
Tre giorni dopo, quando, evidentemente l’avance è stata raccolta ed il tu ricambiato, il tema venne riproposto esplicitamente:

“ […] tanto più si riceve, tanto più bisogna temere su questa terra rotante. Dunque non può essere stato altro che il tu ad afferrarmi, quel tu per il quale ti ringrazio in ginocchio poiché la mia inquietitudine per te me lo aveva strappato e ora tu me lo ricambi tranquillamente […] Il “lei” scivola via come su pattini […] lo si deve inseguire di corsa con lettere e pensieri al mattino, la sera, di notte, mentre il tu regge, resta qui con la tua lettera che non si muove e si lascia baciare e ribaciare da me .”

Il passaggio ad una maggiore intimità diventa immediatamente motivo di nuove sofferenze per lo scrittore, ma anche l’abbrivio per nuove quasi ardite avance verbali

La sua lettera del 15 novembre esordisce così:

“Senti, il “tu” non è proprio d’aiuto come immaginavo. Oggi, dunque già al secondo giorno, non dà buona prova”.

Segue una lunga geremiade con le lettere di lei che non arrivano e lui che si dispera per l’ansia e gira agitato per i corridoi dell’Istituto per il quale lavora.

Ma la sera stessa, nel riprendere, questa volta da casa, la stessa lettera, scrive:

[…] “permetti, ma soltanto con l’immaginazione, e soltanto questa volta, che baci le tue dilette labbra”.

Rivelandosi decisissimo a fortificare ogni nuovo avamposto raggiunto, per poi passare a conquistare il successivo, pochi giorni dopo azzarda una nuova effusione:

“Posso dunque baciarti? Ma su questa misera carta? Sarebbe come spalancare la finestra e baciare l’aria notturna”.

Il giorno successivo si definisce “un innamorato misero ed estremamente scomodo”.

Frequentissime diventeranno da questo momento in avanti le frasi di compatimento per Felice sull’uomo che ha avuto la ventura di incontrare, evidenti tentativi di evocare da parte sua proteste o smentite ( che possiamo solo immaginare, essendo purtroppo andate perse tutte le lettere di lei).

In una lettera scritta il 23 dicembre arriva ad attribuirle la responsabilità di essere una “fidanzata modello” per sopperire alla sventura di avere “un innamorato così malconcio”.

“Se non hai le guance rosse, come vuoi che te le faccia diventar pallide, considerata che questa è la mia professione? Se non sei fresca, come dovrei renderti stanca, se non sei allegra come dovrò contristarti? Cara, mia cara, per amore, soltanto per amore, vorrei danzare con te, sento infatti che la danza, quest’occasione di abbracciarti e di girare insieme fa parte inscindibile dell’amore e ne è la vera e la pazza espressione”.

Si arriva prestissimo, come in tutte le storie d’amore ad uno scambio di ritratti.
Anche in questo caso è Kafka a fare il primo approccio:

“Allego un mio ritratto, potevo avere cinque anni, il broncio allora era uno scherzo, oggi lo considero segreta serietà”

Segue il preannuncio dell’invio di una sua foto più recente e, in chiusura della lettera, la richiesta di una foto dell’amata, anche solo in prestito.

Viene accontentato con l’invio, in occasione del Natale di un piccolo portafogli con la foto di Felice.
La lettera, spedita il giorno di Santo Stefano, inizia così con una esplosione di riconoscenza e di gioia:

“Il piccolo portafogli che mi hai regalato è miracoloso. Mi fa diventare un altro, un uomo migliore, più tranquillo. La possibilità di guardare il ritrattino dovunque io sia o almeno di estrarre il portafogli […] è anch’essa una nuova felicità che devo a te.”

La lettera si chiude in maniera scherzosa:

“Quando passi dal tuo fotografo digli che nessuno dei suoi ritratti riceve tanti baci quanto questo” .
Il “miracolo” del ritratto continua anche nei giorni successivi. Per giorni e giorni Kafka continua a tenere quel ritratto a portata di mano, per tirarlo fuori in qualsiasi momento.

“Talvolta il desiderio di te mi prende alla gola. Apro subito il portafogli e tu appari immediatamente cara e gentile al mio sguardo insaziabile […] Ti propongo di scambiare questi ritrattini una volta la mese. Tu ti modifichi, la stagione avanza, porti altri abiti…no,no cara, pretendo troppo, mi smarrisco. Devo essere contento di possedere questo ritrattino, del quale ti dovrei ringraziare in tutte le mie lettere”.

Le fotografie che gli arrivano da Berlino portano quasi al parossismo il suo sentimento di attrazione nei confronti di Felice, ma sono, come le lettere, un modo per tenerla a distanza.

In fondo solo 8 ore di treno separano i due innamorati: se Kafka volesse , non gli mancherebbero certo i mezzi ed il tempo per raggiungerla.
Impossibile negare l’autenticità del trasporto di lui nei confronto di Felice, difficile dubitare delle sue smanie e delle sue ansie, che esplodono in continuazione come fuochi d’artificio in tutto l’epistolario, soprattutto nella sua parte iniziale.

E’ un rapporto d’amore in piena regola nel quale trovano posto anche, come in ogni storia d’amore vissuta intensamente anche i tormenti della gelosia.

(…) “Sono geloso di tutte le persone della tua lettera”’ scrive il 29 dicembre 1912-“nominate e non nominate, uomini e ragazze, gente d’affari e scrittori ( naturalmente in modo particolare di questi).Sono geloso del rappresentante di Varsavia(…) sono geloso di quelli che ti offrono posti migliori , sono geloso della signorina Lindner ( …) sono geloso di Werfel…(..) Con tutte [queste persone] vorrei attaccar lite, non per fra loro del male, ma per allontanarle da te, perché tu ne sua libera, per leggere soltanto lettere nelle quali parli unicamente di te, della tau famiglia, delle tue piccole [nipoti] e beninteso! e beninteso! di me”.

Ma è impossibile anche allontanare un sospetto. Il sospetto che questa sia una storia con Franz Kafka protagonista che Franz Kafka scrittore vuole narrare a se stesso.
Gli anni di questa relazione, quasi del tutto epistolare, sono gli anni della massima fertilità creativa.

Sono gli anni in cui scrive La condanna, La Metamorfosi, Il disperso, Il processo.

Tutte opere di enorme valore scritte spesso in maniera febbrile, come se fosse posseduto da uno stato di trance e di grazia creativa che forse non ha uguali nella storia della letteratura.

Difficile pensare a queste lettere d’amore come ad un opera minore, al momento di riposo del guerriero.

Come dice Max Brod in una lettera a Felice, Kafka è “l’uomo che vuole l’assoluto, l’estremo di ogni cosa, l’uomo che non scende mai a compromessi….capace di stare mesi senza concepire una riga anziché accontentarsi di un mezzo termine o di uno scritto purchessia ( e magari buono)”.

E’ proprio in questa attrazione per l’assoluto che sta il motivo della distanza che Kafka con tutte le sue forze vuole mantenere fino alla fine tra sé e Felice.

Vive questa storia d’amore in maniera assolutamente coerente con la sua natura di romanziere, risoluto ad evitare non solo la fisicità del rapporto, ma anche la serialità di una comune vita borghese.

Fino a quando la tensione generata dalla distanza gli consente di alimentare, come farebbe con il più ambizioso dei suoi romanzi, la storia d’amore del Giovane Franz che si tormenta per le lettere che non arrivano, che soffre per un malinteso, che si esalta aprendo un portafogli e riempiendo di baci la fotografia dell’amata, la relazione prospera in un crescendo di successive esaltazioni.

Il giorno in cui si profilano una casa ed una vita comune la relazione perde il suo sapore di assoluto, si profila per lui l’incubo di una quotidianità claustrofobia come quella della sua vita con i genitori e all’Istituto delle Assicurazioni.

Ama con tutte le sue forze Felice ( o il Giovane Franz che sospira per lei) fintanto gli è possibile percepire quest’amore alla stregua della letteratura, cioè come una via di fuga.

Il giorno stesso in cui, con la sua ansia di appartenergli e diventare una parte della sua vita, Felice diventa la sua potenziale carceriera, la storia si chiude.

Si ha una prima anticipazione di quello che potrebbe essere l’epilogo della storia quando si avvicina, dopo mesi di lettere sempre più appassionate, la possibilità di un incontro fisico tra i due.

FILIPPO CUSUMANO

Oscar Wilde in love – Prima parte- “E’ in tutto e per tutto simile ad un narciso- così bianco e oro”

Comincio qui una storia che richiede lo spazio di più note .Racconterò di Oscar Wilde e del suo amore per Alfred Douglas.Questa è la prima puntata.

oscar7wildeVerso la fine di giugno del 1891 Lionel Johnson, un giovane aristocratico londinese, che ha letto per 14 volte “Il ritratto di Dorian Gray” accompagna il cugino Lord Alfred Douglas da Oscar Wilde, autore del romanzo e glielo presenta.

Figlio minore del Marchese di Queensberry, Lord Douglas ( detto Bosie) aveva una carnagione molto pallida, capelli biondi, occhi chiari ed una corporatura minuta.

Nelle foto che lo ritraggono con Wilde appare visibilmente più piccolo di lui ( che era tuttavia di statura molto superiore alla norma).

Secondo Douglas, Wilde passò il tempo ad assediarlo riuscendo nella conquista dopo circa sei mesi.

Di lì a poco, in una lettera ad un amico, Oscar scrive parole inequivocabili: “Mio caro Bobbie, Bosie ha insistito per fermarsi qui a mangiare dei sandwich. E’ in tutto e per tutto simile ad un narciso- così bianco e oro.[…] E” talmente stanco: giace sul divano come un giacinto ed io lo venero “.

bosie1890Dal novembre 1892 al dicembre 1893 i due non si separano mai. Oscar ha poca voglia di nascondere la relazione che ogni giorno lo prende sempre di più, ma Douglas è addirittura ansioso di esibirla.

Chi invece è enormemente preoccupato da questa relazione è il padre di Bosie.

John Sholto Douglas, nono marchese di Queensberry, è un uomo singolare (ha ereditato un enorme patrimonio, dilapidandone la metà in scommesse sui cavalli).

Le dicerie sulla vita che conducono i due corrono per tutta Londra.

Bosie, da tempo frequenta una cerchia di giovani prostituti pronti a concedersi per qualche sterlina o per un buon pasto in un ristorante alla moda . A questa passione ha introdotto anche Wilde . I due, per trovare le loro “prede” si avvalgono dei servigi di un certo Alfred Taylor, vero e proprio tenutario di un bordello maschile. Ai giovani prostituti con i quali si incontra Wilde dispensa spensieratamente denaro, portasigarette in oro o argento e altri regali. E’ generoso, cordiale, brillante. Parlerà poi di quel periodo come del periodo in cui ” banchettava con le pantere”.

I giovani sono infatti molto avidi e spregiudicati e spesso pronti al ricatto. Da pochi anni ( 1885) è stata approvata in Inghilterra una legge, il Criminal Law Amendment Actc, che per la prima volta vieta gli atti osceni tra maschi adulti consenzienti ( si dice che la Regina Vittoria , avendole qualcuno fatto notare che non era prevista alcuna sanzione per le donne, abbia liquidato seccamente le questione, dicendo :”Nessuna donna farebbe mai una cosa simile”). Il rischio che, con la loro condotta ostentata ed ogni giorno più imprudente i due corrono è quindi un rischio reale e piuttosto grave: la pena prevista era quella della “detenzione fino ad un massimo di due anni, con o senza lavori forzati”.

QUEENSBINaturale quindi che il Marchese di Queensberry si preoccupi delle conseguenze che la relazione può avere sulla reputazione, ma anche sulla fedina penale del figlio.

Dopo vari tentativi di convincere quest’ultimo a troncare la relazione e un’irruzione con minacce in casa di Wilde rimasta priva di effetti, decide di passare a provocare il drammaturgo in maniera plateale.

Va a trovarlo all’Albermarle Club e, non trovandolo, gli lascia un biglietto che dice “A Oscar Wilde che posa da sondomita ( sic: “somdomite”)..

Bosie, che odia il padre profondamente, convince a questo punto Wilde a citare in giudizio il marchese per calunnia.

Il 9 marzo ha inizio il processo.

L’avvocato che difende Queensberry è Edward Carson (v.foto) , compagno di studi di Wilde al Trinity College di Dublino. Wilde accoglie la notizia con leggerezza: “Sarò interrogato dal vecchio Ted Carson. Farà senz’altro la sua parte con quel tanto di cattiveria tipica di un vecchio amico”

Quello che non immagina è che, mentre lui e Bosie, approfittando di un rinvio delle udienze, si assentano per alcuni giorni per recarsi a Montecarlo, Carson esamina le prove raccolte da alcuni investigatori privati sguinzagliati nei posti più malfamati di Londra che hanno scovato tutti i giovani prostituti frequentati dalla coppia: lacchè, fattorini, stallieri, camerier, studenti, tutti personaggi già noti alla polizia, così come il loro “protettore” Alfred Taylor.

carsonAlla ripresa del processo Carson incomincia, nell’interrogatorio di Wilde, a chiedergli di coomentare i suoi scritti.

Wilde risponde da par suo.

Carson legge diversi passi de “Il ritratto di Dorian Gray” scegliendo quelli che alludono a rapporti amorosi tra persone dello stesso sesso. Quando Carson insinua che il romanzo sia un libro perverso, Wilde replica in maniera sprezzante: “ Forse, ma solo per i bruti e gli ignoranti. Le opinioni dei filistei sono di una stupidità incommensurabile”.

Dal romanzo Carson passa alle lettere personali. “Ragazzo tutto mio”, legge ad alta voce, citando le parole d’attacco di una lettera scritta da osca a Bosie. “Perché un uomo della vostra età si rivolge ad un giovane di vent’anni più giovane di lui chiamandolo ragazzo tutto mio ?”

Per un po’ continua la schermaglia tra l’ironia di Carson e le risposte sprezzanti di Wilde. Vengono letti passi sempre più espliciti delle lettere di Oscar a Bosie Vengono fuori, lette dalla voce volutamente incolore e spoetizzante di Carson, espressioni come “le tue labbra di petalo di rosa rossa”, “la tua flessuosa anima aurata “.

bosie4L’avvocato procede facendo in modo di lasciare alla fine le lettere più ardite, in un crescendo che lascia il pubblico e la giuria con il fiato sospeso. “Ragazzo carissimo tra tutti, la tua lettera era deliziosa, vino rosso e dorato per me; ma io sono triste e sconsolato; bosie non devi fare scenate con me. Mi uccidono sciupano le bellezze della vita… Devo vederti presto. Tu sei l’oggetto che mi manca, l’oggetto di grazia e di bellezza… Perché non sei qui, mio caro e meraviglioso ragazzo?”

Alla fine di queste citazioni, Carson pone al teste la domanda cruciale, gli chiede cioè se sia questo il tipo di lettera che un uomo scrive ad un altro uomo. Wilde crede di cavarsela con la solita risposta evasiva.

Asserisce che quella lettera è semplicemente la prova del suo affetto e della sua ammirazione per Lord Douglas. Ma Carson lo incalza : “Non pensate che adulare un giovane, in pratica corteggiarlo, sia la stessa cosa che corromperlo?”.

L’avvocato non molla la presa.

osca-bosie.3jpgDalle lettere di Wilde passa ai ricattatori che le hanno utilizzate: fattorini e stallieri che hanno varcato con il poeta la soglia dei locali più esclusivi di Londra, condividendo con lui cibi sofisticati e fiumi di champagne. “Non è strano– incalza Carson- che un uomo di più di quarant’anni prediliga con tanta insistenza la compagni di uomini così giovani?”. Wilde non rinuncia alla battuta “Per me la gioventù, il solo fatto della gioventù, è così meraviglioso che preferirei chiacchierare per mezz’ora con un giovane che essere interrogato in tribunale

Carson incassa la risposta per quello che è: la conferma del fatto che Douglas non è il solo giovane al quale Wilde si è accompagnato nel corso degli ultimi anni.

Alla seconda udienza, Wilde non si presenta. Il suo avvocato lo ha convinto a rinunciare e cerca di negoziare un’uscita onorevole.

Riesce ad evitare la sfilata dei testimoni, ma non la formula finale, con la quale la giuria chiude il processo: non solo Queensberry è innocente del reato di calunnia, ma ha avuto ragione, per il bene pubblico, a sollevare la questione.

La formulazione della sentenza, alla luce della legislazione vigente in tema di sodomia, rende inevitabile un secondo processo, questa volta con Wilde come imputato.

Gli amici più fidati scongiurano Wilde di riparare in Francia.

oscar il giudiceMa il poeta preferisce restare ad aspettare la sua sorte. Preferisce affrontare gli eventi che l’onta della fuga.

Poco dopo è arrestato per il reato di atti osceni.

Il processo si conclude con una condanna a due anni.

La sentenza viene pronunciata il 25 maggio 1895. Il giudice che la emette la commenta così : “Non posso che pronunciare la condanna più severa prevista dalla legge. A mio avviso essa è totalmente inadeguata in un caso come questo. …

…continua

La storia di Sylvia dalla parte di Ted.

ted divanoTed

Ieri nel mio post dedicato a  Sylvia Plath e Ted Hughes – lo trovate qui –  ho raccontato la tormentato storia di questa vicenda “dalla parte di Sylvia”, cioè mettendo in luce la sua visione delle cose e raccontando i fatti salienti della sua avventura umana e letteraria.

Mi sembra giusto dedicare oggi pari attenzione a Ted Hughes.

Per anni il suo comportamento nei confronti di Sylvia è stato oggetto di critiche pesantissime e la grandezza della sua poesia è stata in parte offuscata, in parte “assorbita” da questa vicenda.

Per molti che non hanno letto o approfondito la sua opera, Ted rimane l’uomo che, innamoratosi di punto in bianco di un’altra donna, ha abbandonato la giovane e fragilissima moglie con due bambini piccoli, di fatto causandone il suicidio.

Ted per molti è stato per gran parte della sua vita solo quello.

Forse meritava e merita di più.

Ma veniamo a noi.

tedhughes

Dedicato a Sylvia

Più alta                                                                                                   sylvia in costume
di quanto non saresti più stata.
Ondeggiavi così snella
che le tue lunghe, perfette gambe americane
sembravano salire su su su.
Quella mano divampante,
quelle lunghe dita danzanti,
di eleganza scimmiesca.
E il viso: una palla tesa di gioia.
Ti vedo là, più chiara, più vera
che in tutti gli anni nella sua ombra –
come se ti avessi visto quell’unica volta e poi più.
La cascata sciolta dei capelli
quella molle cortina
sul viso, sulla cicatrice.
E il tuo viso
una gommosa palla di gioia
intorno alla bocca dalle labbra africane, ridente,
dipinte di cremisi.
E i tuoi occhi
strizzati nel viso, succo di diamanti,
incredibilmente luminosi,
come succo di lacrime
che potevano anche essere lacrime di gioia,
una spremuta di gioia.
Volevi strabiliarmi
con il tuo brio.

Con questa poesia Ted Hughes descrive il suo primo incontro con Sylvia Plath. Praticamente un’epifania, una folgorazione fisica.

E’ il 1956, Sylvia  dal punto di vista fisico non deve essere molto diversa dalla ventenne in reggiseno e pantaloncini che vediamo qui sopra a destra.

ted giovane8Anche Ted è un uomo molto attraente.

I due poeti si incontrano oltre che sul piano delle affinità elettive e dei sentimenti anche sul piano fisico.

Anni dopo, Ted pubblicherà le sue lettere. Tutti andranno acercarvi i particolari della sua tormentata storia con Sylvia e troveranno questo ricordo di una notte d’amore appena trascorsa:

“Questa notte non è stata altro che una scoperta di quanto sia liscio il tuo corpo. Il ricordo mi passa nelle vene come brandy”.

Vita di Huhes ( notizie riprese da Wikipedia)

I primi anni

Hughes nasce nel 1930 a Mytholmroyd nel West Workshire , da William, carpentiere , e da Edith Farrar donna sensibile e amante della lettura.

L’infanzia è felice. Vive in campagna e gode di molte delle gioie e dei divertimenti  che sono alla portata di chi vive in campagna.

Ascolta estasiato  le storie che il fratello maggiore  Gerald gli racconta, ama le passeggiate tra i campi, si appassiona agli animali  e prende l’abitudine di disegnarli e scolpirli con la plastilina

Nel 1937  la  famiglia si trasferisce a Mexborough, nello Yorkshire per gestire un’edicola con rivendita di tabacchi.  Il fratello Gerald sceglie invece di lavorare come  nel Devon come guardaccia, emigrando successivamente in Australia ( con grande sofferenza di Ted che gli è attaccatissimo)

A Mexborough frequenta i primi anni di scuola dimostrando subito grande  passione per la lettura. Inizia anche  a scrivere piccoli racconti d’avventura (“… nascevano in gran parte dalle mie letture. Mi specializzai in eventi fantastici e avventure cruente“) 

Nel 1941 va  alla ” Grammar School” dove  ottimi insegnanti  ne  incoraggiano la vena artistica, mentre lo inizia alla poesia la sorella Olwyn, maggiore di due anni, che possiede, a detta dello stesso Ted “… un gusto poetico meravigliosamente precoce”.

La poesia prende  il sopravvento sulle altre passioni. Passa così dai racconti di avventure ai brevi poemi, che vengono anche pubblicati dal giornalino della scuola.

I suoi modelli sono Yeats, Eliot, Dylan Thomas e, tra i romanzieri, Lawrence

Ne1948 va  Cambridge dove frequenta Letteratura Inglese, per poi passare, dopo i due anni di servizio militare,  ad antropologia e archeologia.

Nel  1954, anno della sua laurea, esce su una  rivista ” The Little and the Seasons, una poesia che  firma con lo pseudonimo di Daniel Hearing ma che non apparirà mai nelle sue raccolte.

Trasferitosi a Londra svolgere lavori d’ogni tipo, per guadagnarsi  da vivere e avere nel frattempo la possibilità di scrivere. Nei  week-end si reca regolarmente a Cambridge per studiare in Biblioteca e ritrovare i vecchi amici .

E’ una fase di incertezze e di tensioni. E’ un anno che si è laureato quando scrive al fratello Gerald: “Dovrò trovarmi un lavoro rispettabile altrimenti Mamma ne farà una malattia. Mi sto dando da fare per trovare qualcosa in televisione, o alla BBC, o nel cinema.”

L’incontro con Sylvia.

ted e sylvia appena conosciuti

All’inizio del 1956 un amico  gli propone di lavorare presso gli studi cinematografici di “Pinewood ” con il compito di redigere schede di romanzi e opera teatrali da utilizzare come soggetti cinematografici.
Accetta  senza entusiasmo.

A febbraio, durante un party Ted conosce Sylvia  in visita in Gran Bretagna avendo conseguito una borsa di studio.

Tra i due  nasce subito un grande amore e Hughes decide di lasciare il suo lavoro per trasferirsi a Cambridge per rimanere con Sylvia.
La loro unione sarà, da quel momento, come scrive Anna Ravaro,..un sodalizio letterario, pur nell’indipendenza creativa individuale, che durerà per tutti gli anni della loro unione, nonostante le differenze di formazione e di sensibilità e i metodi compositivi radicalmente diversi”

Il 16 luglio si sposano alla presenza della sola madre di Sylvia.

Nel 1957,  incoraggiato da  Sylvia, Ted presenta ad un concorso di poesia che si tiene a New York una raccolta di quaranta poesie con il titolo “The Hawk in the Rain” con la quale vince il premio  il  che gli dà la possibilità di pubblicarle subito con la “Harper Bros”.  Il testo viene pubblicato anche  in Inghilterra con una dedica a Sylvia e viene   segnalato dalla “Poetry Book Society” come il libro migliore dell’anno.

Ted è felice e in una lettera al fratello afferma che da quando ha conosciuto Sylvia la sua vita è cambiata: La mia vita in questi ultimi tempi è splendida, meravigliosamente guarita rispetto a com’era prima. Il matrimonio è il mio elemento naturale. Anche la mia fortuna prospera grazie ad esso, e così pure quello che produco. Non hai idea di che vita felice facciamo io e Sylvia o forse ce l’hai. Lavoriamo, facciamo passeggiate, ripariamo a vicenda quello che scriviamo. Lei è uno dei migliori critici che io abbia mai conosciuto e comprende perfettamente la mia immaginazione, e anch’io credo di comprendere la sua.

Insomma le cose tra i due poeti erano incominciate nel migliore dei modi. Si piacciono fisicamente. Belli e ricchi di talento, si incoraggiano a vicenda, nel corso degli anni successivi la loro unione viene anche, come si usa dire, “allietata” dalla nascita di due splendidi bambini.silvia figli

Ci sono tutti i presupposti per una storia di quelle che non finiscono mai, tale e tanta è la quantità e la qualità delle cose che i due hanno da dirsi, presi come sono da un meraviglioso sogno comune, quello della parola scritta.

Eppure, poco alla volta qualcosa si incrina e quello che era stato un sogno si trasforma lentamente, ma inesorabilmente in un incubo.

C’è sicuramente un modo facile e tremendamente convenzionale per spiegare quello che è accaduto in quella mattina del 1963, quando Sylvia, dopo aver cercato di resistere per qualche tempo al dolore dell’abbandono da parte di Ted, si chiuse in cucina, si sdraiò sul pavimento e accese il gas del forno.

Tra l’epoca della vita “felice e fortunata” descritta da Ted e quell’alba disperata e terribile ci sono tanti avvenimenti: c’è la nascita dei figli, c’è il ritorno dei demoni privati di Sylvia  , cè l’apparizione di Assia Guttmann (insomma quello che ho raccontato nel post precedente).

Facile e sbrigativo arrivare, anzi “saltare”, come hanno in molti ( me compreso in un primo tempo) alle conclusioni.

C’è una moglie giovane, bella , intelligente, con un enorme talento, ma anche tremendamente fragile. L ‘arrivo dei figli ha stravolto completamente la sua vita. Teme di dover sacrificare a loro la sua poesia,  teme di non essere più desiderata dal marito, i fantasmi delle sofferenze del passato tornano ad assediarla.E nel momento in cui  avrebbe bisogno di suo marito più che di ogni altra cosa, cosa succede?

Lui se ne va con un’altra. Con una donna più vecchia di lei, ma di una bellezza che mi riesce di definire solo in un modo :    intrigante.

Almeno a giudicare dalle foto.

Ho smanettato a lungo con i motori di ricerca per trovare una foto che rendesse il fascino di Assia.  Ne ho trovato un paio  che mi sembrano all’altezza e ci ho lavorato su con photoshop per ricavarne due  ingrandimenti, che sono quelli che vi sottopongo.assia giovane

assia3jpg Sicuramente tutto, tranne che una donna fisicamente inespressiva e banale.

Ma quanto ha influito  l’attrazione per Assia nella scelta di lasciare Sylvia?

E quanto invece lo sgomento di Ted nel vedere sua moglie tornare in preda ai suoi demoni di un tempo?

In che misura, insomma, per parlarci chiaro, Ted è colpevole  per l’abbandono di Sylvia?

Quasi sicuramente, ho finito per convincermi, la fuga con Assia è stato solo l’effetto, non la causa della crisi.
Quasi sicuramente quella crisi era iniziata da tempo, da quando cioè Ted aveva scoperto di avere accanto a sè una donna diventata molto diversa da quella di cui si era così istantaneamente innamorato a Cambridge.

La dimensione del post non si presta a citare completamente tutte le poesie attraverso le quali Ted torna alla sua storia con Sylvia.

Mi limito a citare solo alcune frasi, lasciando ai lettori, che volessero approfondire la possibilità di risalire ai testi completi.

Ecco i versi che ho scelto

Quelli di SHOT ( che descrivono la forza irriducibile dei demoni privato di Sylvia e l’impotenza di Ted a salvarla)

[…]dentro il tuo Kleenex zuppo di singhiozzi
e i tuoi attacchi di panico il sabato sera,
sotto i capelli pettinati ora in questo ora in quel modo,ted sui quaranta
dietro quelli che sembravano rimbalzi
e la cascata di grida in diminuendo,
non deflettevi.

[…]Al mio posto, il giusto medico-stregone
forse ti avrebbe afferrata al volo a mani nude,
ti avrebbe palleggiata, per raffreddarti,
senza dio, felice, pacificata.
Io riuscii solo ad afferrare
una ciocca di capelli, il tuo anello, l’orologio, la vestaglia.

ted sui sessantaE che dire , infine dei versi terribili che chiudono la poesia  Come un Orfeo mancato?

E intanto il mio corpo affondava nella leggenda
In cui i lupi cantano nella foresta
Per due bambini trasformati nel sonno
In orfani
Accanto al cadavere della madre.

Filippo Cusumano


“Un cavallo da corsa in un mondo senza piste” : la storia di Sylvia Plath.

sylvia bambinaQuesta è la storia di due poeti, Sylvia Plath e Ted Hughes.

Le loro vite si intrecciarono circa cinquant’anni fa.

Si sposarono ed ebbero due figli.

La loro storia è talmente complessa  da rendere necesssario svilupparla in più di un post per avere il modo di dare voce a tutti i protagonisti: lui. lei, l’altra (morta suicida a sua volta).

Cominciamo da Sylvia.

SYLVIA

Sylvia Plath nasce il 27 ottobre del 1932 a Jamaica Plain, un sobborgo di Boston.

sylvia in costumeSuo padre Otto Emil Plath, è uno stimato entomologo e un eccellente linguista . Incontra la madre di Sylvia,   Aurelia Schober , di ventun anni più giovane,  appartenente ad una  famiglia austriaca emigrata nel Massachusetts, di ventun anni più giovane, durante in corso di tedesco alla Boston University e le sposa  nel gennaio del 1932.

Dopo due anni e mezzo nell’aprile del 1935 nasce il fratello di Sylvia, Warren Joseph.

Poco tempo dopo la nascita del secondo figlio, Otto Plath si ammala di diabete mellito, ma rifiuta di sottoporsi a cure mediche, fino a quando nel 1940, è costretto a farsi amputare una gamba. Poco dopo muore per embolia polmonare.

Sylvia dirà che la morte del padre segna la fine della sua infanzia e di ogni felicità.

Sylvia, sotto gli occhi della madre , alla quale è legatissima, dimostra subito, sin dai primi anni della sua adolescenza il suo talento di poetessa.
A 12 anni incomincia a pubblicare le sue poesie in una rivista scolastica rivista scolastica.

sylvia4A diciotto anni , dopo 49 rifiuti, pubblica  un racconto: “E l’estate non tornerà di nuovo” (And summer shall not come again).

Tre anni dopo vince una borsa di studio ed un soggiorno di un mese a New York come redattore inviato (guest editor) della rivista femminile “Mademoiselle

Tornata a Boston dalla madre, partecipa agli esami di ammissione ad un corso di scrittura, ma non viene scelta. Per la delusione entra in uno stato depressivo che preoccupa molto la madre, che la porta da uno psichiatra che le prescrive un ciclo di elettroshock, che le vengono praticati senza anestesia.

“Poi qualcosa calò dall’alto, mi afferrò e mi scosse con violenza disumana. Uiii-ii-ii-ii, strideva quella cosa in un’aria crepitante di lampi azzurri, e a ogni lampo una scossa tremenda mi squassava, finché fui certa che le mie ossa si sarebbero spezzate e la linfa sarebbe schizzata fuori come da una pianta spaccata in due. Che cosa terribile avevo mai fatto, mi chiesi”.

La terapia non funziona .

Sylvia, un giorno, rimasta sola a casa, scende in cantina con un flacone di 5o pillole  e dell’acqua. Rimane lì per tre giorni, finchè non la ritrovano i familiari, che l’hanno cercata dappertutto, senza sospettare che si trovasse a pochi metri di distanza. Ha vomitato tutto, non morirà, ma rimarrà legata a questa esperienza di iniziazione alla morte.

Tornata a studiare e laureatasi, si trasferisce in Inghilterra, a Cambridge, dove ha vinto una borsa di studio.

tedhughesQui conosce il poeta Ted Hughes e lo sposa. E’ per lei l’inizio di un periodo di felicità e di sogno.

Il sogno di un sodalizio amoroso e letterario. Le sembra possibile coltivare insieme il suo amore per la poesia e quello per Ted. Anzi le sembra che un amore possa alimentare l’altro.

Nel 1957 le viene offerto , a soli 25 anni, un incarico di insegnamento negli Stati Uniti, così rientra a Boston con Ted.

Dimostra subito un enorme talento didattico, ma l’impegno per la preparazione delle lezioni le sottrae l’energia necessaria a comporre le sue poesie. Con il totale appoggio del marito e nell’incredulità di amici e conoscenti, rinuncia all’incarico per l’anno successivo e rimette la poesia in testa all’elenco delle sue priorità.

Nel 1960 con Poem for a Birhday , sette poesie  scritte all’avvicinarsi dei suoi 27 anni, ritorna sui   tre giorni trascorsi nella cantina e sull’esperienza della malattia.

sylvia e ted divanoPensa di avere vissuto  una specie di  “morte rituale”. Che adesso però le appare lontana, sia perchè aspetta il suo primo figlio ( e quindi “ospita” una vita) sia perchè ha ripreso a scrivere . Gode intensamente quindi un periodo di rinascita sia dal punto di vista biologico che artistico.

Voleva morire, ma è stata salvata ed è risorta.

“Presto, presto la carne/che il severo sepolcro ha divorato/tornerà al suo posto su di me,/e sarò una donna sorridente./Ho 30 trent’anni soltanto./E come i gatti ho nove volte per morire.

Ted e Sylvia tornano in Inghilterra dove nasce la prima figlia: Frieda Rebecca.

Ma i demoni tornano a visitare Sylvia.

Ho un buon io che ama i cieli, le colline, le idee, i piatti saporiti, i colori brillanti. Il mio demone vorrebbe ucciderlo”.

Il marito commenterà anni dopo la sua fragilità:

“Sembrava un’invalida, tanto era priva di protezioni interiori”.

Nel 1962, dopo un aborto avvenuto l’anno prima, mette alla luce il suo secondogenito, Nicholas Farrar ( anche lui morto per suicidio pochi mesi fa).
Ted e Sylvia vivono in una casa di campagna nel Devon. La tensione tra i due arriva a livelli altissimi  e giunge al suo culmine quando appare Assia Gutman.

Più vecchia di Sylvia e di Ted (è del 1927) Assia, berlinese  ha sposato il poeta canadese David Wevill  e con lui si è appena trasferita  a Londra dove Assia lavora per un’industria pubblicitaria.

Il caso vuole   che Assia e David affittino  l’appartamento degli Hughes, in procinto di trasferirsi in campagna .

I due vengono invitati dagli Hughes per un fine  un fine settimana nel Devon.

assiaTra Ted ed Assia  ( foto a destra) scoppia il colpo di fulmine.

Sylvia scopre subito la relazione.

Ecco un brano della poesia  ‘Parole sentite, per caso, al telefono’, che descrive il momento dell’amara scoperta ( Assia telefona per parlare con Ted, ma alla risposta di Sylvia, simula una voce maschile così goffamente da farsi scoprire)

… che cosa sono queste parole, queste parole?
Cadono con un plop fangoso.
Oh dio, come farò a pulire il tavolino del telefono?….
….Ora la stanza sibila. Lo strumento
ritira il suo tentacolo.
Ma la poltiglia che ha deposto cola nel mio cuore. È fertile.
Imbuto di sozzura, imbuto di sozzura – ….”

silvia figliCacciato di casa il marito ( che va prontamente  vivere con Assia), Sylvia rimane in campagna con i due bambini e le sue arnie ( è, nel frattempo, sulle orme del padre, diventata una buona apicultrice).

Il grigio inverno inglese aggiunge depressione al dolore per il tradimento del marito.

Nel diario scrive:

Come sogno la primavera! Mi manca la neve americana, che se non altro fa dell’inverno una stagione pulita, eccitante, invece di questi sei mesi di seppellimento tra il tempo umido, la pioggia e il buio: come i sei mesi che Persefone doveva passare con Plutone”

Riprende a scrivere, con ansia febbrile, quasi sempre scegliendo le ore dell’alba in “quell’ora azzurra, silenziosa, quasi eterna che precede il canto del gallo, il grido del bambino, la musica tintinnante del lattaio che posa le bottiglie”.
Il dolore è quasi  insopportabile, come quasi insopportabile è la bellezza delle poesie che scrive in questo periodo.

Uno stato di grazia che ancora una volta per lei rappresenta una specie di ritorno alla via.

Scrive ad un’amica:

Roba incredibile, era come se la vita da casalinga mi avesse soffocataSentivo come un tappo in gola. Ora che la mia vita domestica è nel caos, faccio vita spartana, scrivo con addosso la febbre alta e tiro fuori cose che avevo chiuse dentro da anni, mi sento sbalordita e molto fortunata”.

Rivedendola a distanza di tempo dalla separazione, Ted è colpito dalla sua disperata lucidità. Leggendo le sue ultime poesie trova conferma di questa impressione. Scrive: ” Sylvia è il poeta sciamano.In poesia penetra fino a profondità riservate in passato ai sacerdoti dell’estasi, agli sciamani, ai santoni”.

Le ultime poesie hanno toni funesti. La morte compare continuamente come un appuntamento difficilmente eludibile, come un richiamo al quale è impossibile sottrarsi.

sylvia-plath-photographEcco come chiude la poesia Specchio:

Su me si china una donna
cercando in me di scoprire quella che lei è realmente.
Poi a quelle bugiarde si volta: alle candele o alla luna.
Io vedo la sua schiena e la rifletto fedelmente.
Me ne ripaga con lacrime e un agitare di mani.
Sono importante per lei. Anche lei viene e va.
Ogni mattina il suo viso si alterna all’oscurità.
In me lei ha annegato una ragazza, da me gli sorge incontro
giorno dopo giorno una vecchia, pesce mostruoso.

Nel 1963 decide di tornare a Londra, non ce la fa più a tollerare l’isolamento in campagna.

E’ l’ultima stagione creativa: Pubblica, con lo pseudonimo di Victoria Luca “The Bell Jar” (La campana di vetro).

la campana di vetro

E’ la storia, scopertamente autobiografica, di Esther, diciannovenne di provincia, che si avventura in una grande città dopo aver vinto un soggiorno offerto da una rivista di moda. Intorno a lei , come una campana di vetro, una specie di involucro soffocante  che le toglie l’aria e soffoca ogni sua capacità di reazione l’America spietata degli anni 50 ,  ipocrita, maccartista e ottusamente benpensante ,  che la fa sentire “come un cavallo da corsa in un mondo senza piste”.

L’uscita del romanzo sembra l’avvio di  una nuova rinascita:

Vivere separata da Ted è meraviglioso, non sono più nella sua ombra ed è fantastico essere apprezzata per me stessa e sapere quello che voglio. Magari chiederò anche in prestito un tavolo per il mio appartamento all’amica di Ted… I miei bambini e scrivere sono la mia vita, e che loro si godano pure le loro storie d’amore e i loro party, pfui!”

Prende molti antidepressivi e continua a perdere peso, con grande preoccupazione del  suo medico, dottor Horder.

sylvia maturaScrive alla madre  : “Adesso vedo com’è tutto definitivo, ed essere catapultata dalla felicità mucchesca della maternità nella solitudine e nei problemi non è certo allegro”.

Fa progetti di vita e di lavoro : “Adesso i bambini hanno più che mai bisogno di me e per i prossimi due o tre anni andrò avanti a scrivere la mattina, a passare con loro il pomeriggio e vedere amici o studiare e leggere di sera”.

Un mattino si alza all’alba, come al solito, porta la colazione (pane e latte) nella stanza dei figli, spalanca la finestra della loro camera e sigilla le fessure della porta con nastro adesivo ed un asciugamano.

Poi va  in cucina, sigilla meticolosamente  tutte le fessure, poi infila la testa nel  forno e accende il gas.

Un solo un breve messaggio “Per favore, chiamate il signor Horder”.

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P. S.

Sul tema vedi anche i due post successivi:

“VEDE SIGNORA,  IO SUA FIGLIA L’HO SEMPRE AMATA”

( storia vista dalla parte di Ted)

E

“HO SOGNATO DI VIVERE CON TED E QUESTO SOGNO E’ FINITO”

( storia vista dalla parte di Assia)

FILIPPO CUSUMANO

Memorie di Adriano- brevi istruzioni per l’uso

yourcenar

“Quando prendo in esame la mia vita, mi spaventa di trovarla informe.

L’esistenza degli eroi, quella che ci raccontano, è semplice: va diritta al suo scopo come una freccia.

E gli uomini, per lo più, si compiacciono di riassumere la propria esistenza in una formula- talvolta un’ostentazione, talvolta una lamentela, quasi sempre una recriminazione; la memoria compiacente compone loro un’esistenza chiara, spiegabile.

La mia vita ha contorni meno netti, la definisce con maggiore esattezza proprio quello che non sono stato”

( “Le memorie di Adriano- Marguerite Yourcenar”)

Ci sono libri che è impossibile leggere con velocità, lasciandosi abbindolare dalla loro trama ed estraneandosi completamante da quello che ci circonda.

“L’isola del tesoro” si può leggere in questo modo: entri in un mondo lontanissimo dal tuo e vorresti rimanerci fino alla fine della storia, senza farti distrarre dalla banalità sconfortante delle vicende di tutti i giorni.

Ma per altri libri non è così.

E’ il caso de “ Le memorie di Adriano”.

E’ un libro talmente profondo e ricco di stimoli da richiedere alcune accortezze.

Non si può affrontare che a piccole dosi, perchè quasi ogni frase richiede un supplemento di riflessione personale prima di essere assimilata.

Va letto avendo a disposizione una matita, per sottolineare i passi più importanti, per avere poi il piacere di riaprirlo casualmente e rileggerli.

FILIPPO CUSUMANO