Il primo carcere del quale Wilde fa esperienza, nello scontare la sua pena, è quello di Pentonville, a nord di Londra.
Unico ospite di una cella di quattro metri per due, il prigioniero vive in un isolamento pressoché assoluto. Nell’unica ora d’aria scende in cortile e come tutti gli altri prigionieri gira in tondo, battendo aritmicamente i piedi.
Non può comunicare, per regolamento, con gli altri detenuti e le guardie carcerarie sono pronte a segnalare alla direzione ogni più piccolo tentativo di violare questa regola da parte dei detenuti.
Il lavoro è frustrante e ripetitivo. In ogni cella vengono portate delle grosse funi ed ogni detenuto passa la sua giornata, salvo l’interruzione del pranzo e dell’ora d’aria, a sminuzzarle in stoppa.
Il vitto è ben lontano da quello cui il poeta, da tutti descritto come un mangiatore ghiotto e insaziabile, è stato abituato: verdura, zuppa d’avena per pranzo, tè ed una fetta di pane per cena.
La notte è lunghissima e tormentata. Alle sette le luci vengono abbassate e, per ben undici ore, fino alla sveglia delle sei del mattino dopo, ai prigionieri non resta altro che cercare di riposare distesi sopra un durissimo tavolaccio.
“Lo scopo del tavolaccio è produrre l’insonnia- scriverà ad un amico- E immancabilmente ci riesce. E’ un castigo rivoltante ed ignorante”
Ma la fame e l’insonnia non sono debilitanti per il poeta quanto la condanna all’isolamento.
Non può comunicare, né ricevere notizie.
Ai detenuti è concesso di ricevere solo quattro lettere all’anno.
Le lettere possono contenere informazioni sui familiari, ma non possono fare il minimo cenno a qualsiasi altro evento del mondo esterno.
Il limite non riguarda soltanto le lettere, ma anche quello dei destinatari, selezionabili solo nella lista delle persone rispettabili.
Sono inoltre concesse quattro visite all’anno, della durata di venti minuti l’una.
Non potendo comunicare con lui, la stampa, che si è buttata con avidità sullo scandalo, pubblica, dandole come notizie, alcune congetture sulle condizioni di salute del poeta, che viene descritto come gravemente debilitato e sulla via di perdere il lume della ragione.
Dopo la visita di un deputato liberale, Richard Haldane, che fa parte della Commissione per la Riforma delle Carceri, le autorità decidono il suo trasferimento nel carcere di Wandsworth, a sud di Londra.
Qui , dopo uno svenimento dovuto alla debolezza e alla cattiva alimentazione, viene ricoverato per un breve periodo in infermeria.
Due specialisti ricevono l’incarico di visitarlo accuratamente, ma prima di farlo, si soffermano a scrutarne il comportamento dallo spioncino dell’infermeria e lo sorprendono a deliziare con la sua verve affabulatoria gli altri ammalati, gioviale e brillante, nonostante le condizioni al contorno, come tutte le volte che gli riesce di avere un uditorio attento e ammirato
Ed ecco che un giorno, mentre ancora soggiorna nell’infermeria, che gli arrivano per la prima volta notizie di Bosie.
“Mi si fa uscire dall’infermeria- scrive a Bosie nel De Profundis- dove giaccio gravemente ammalato, per ricevere dal direttore del carcere un messaggio particolare da parte tua. Egli mi legge infatti una lettera indirizzatagli da te, in cui ti dichiari interessato a pubblicare un articolo “sul caso di mister Oscar Wilde” sul Mercure de France e ansioso di ottenere il mio consenso di pubblicare una scelta di brani: da quali lettere? Quelle che ti avevo scritto dal carcere di Holloway! Quelle lettere che avrebbero dovuto essere per te cimeli sacri e segreti più di ogni altra cosa al mondo!”
Wilde è inorridito dalla disinvoltura e dalla insensibilità dell’amico, che vuol dare in pasto “all’avida curiosità dei feuilletoniste” e dei “piccoli dandies del Quartiere Latino” delle lettere così intime e dolorosamente intrise di disperazione. Punta ad una riduzione della pena e per ottenerla ha bisogno di far dimenticare la sua vicenda il più possibile.
Bosie, che ha vissuto la storia come un momento esaltante della sua lunga lotta con il padre, è invece desideroso di gloriarsene ancora, di essere nuovamente al centro dell’attenzione.
Nel novembre del 1895, mentre ancora si trova nel carcere di Wandsworth, Wilde viene citato in giudizio dai suoi creditori.
Non essendo in condizione di pagare, subisce l’umiliazione di essere convocato dal tribunale fallimentare.
Emergono, alla fredda luce dei rendiconti contabili, i particolari di una vita dissipata e senza regole.
Incapace di indicare al giudice quanto fosse solito spendere, più o meno, in un anno, Wilde viene messo di fronte alla minuziosa ricostruzione delle sue uscite tenuta diligentemente dai suoi fornitori.
Saltano fuori soggiorni in alberghi costosi, cene a base di brodo di tartaruga, sofisticati patè fatti arrivare direttamente da Strasburgo, vini d’annata serviti in grandi quantità, perfino gemelli da polso con diamanti disegnati dal poeta e fatti realizzare da un artigiano per farne omaggio a Bosie ( Wilde non li ha pagati e Bosie li ha rivenduti per quattro soldi nella prima occasione in cui si è trovato a corto di quattrini).
La dichiarazione di fallimento è l’umiliazione più grande.
“Anche se può sembrarti strano che uno che si trovi in una situazione terribile come la mia faccia differenza tra una ignominia e un’altra, pure ti dico francamente che la follia di sperperare per te tutto quel denaro, e di lasciarti dilapidare il mio patrimonio a tuo, come a mio danno, dà alla mia bancarotta una nota di dissolutezza volgare che mi fa vergognare doppiamente ai miei stessi occhi. Ero fatto per altre cose.”
Dopo il processo presso il tribunale fallimentare, Wilde viene trasferito in un terzo carcere, quello di Reading, ad una cinquantina di chilometri da Londra. Durante il trasferimento subisce la più mortificante delle umiliazioni. Vestito con l’abito da forzato e con le manette ai polsi, è costretto a stare per mezz’ora in attesa nella pensilina di una stazione, completamente esposto al ludibrio della folla, che ha riconosciuto in lui il brillante commediografo caduto in disgrazia.
Poche settimane dopo il suo arrivo a Reading, il 19 febbraio 1896, Wilde riceve la visita della moglie, che nonostante sia afflitta da gravi problemi di salute, ha affrontato un gravoso viaggio da Genova, città nella quale dopo lo scandalo si è rifugiata con i suoi figli, per comunicargli di persona la notizia della scomparsa della madre, morta due settimane prima all’età di settant’anni.
Per Wilde è un colpo terribile.
Anche in questa occasione Bosie dimostra la sua insensibilità.
“Nessuno meglio di te sa quanto profondamente amavo e veneravo mia madre […].Mia moglie, a quel tempo buona e compassionevole con me, perché non dovessi apprendere la notizia da labbra indifferenti o estranee, affrontò, malata com’era, il viaggio da Genova all’Inghilterra per prepararmi lei stessa all’annuncio di una perdita così irreparabile, così irrimediabile. Messaggi di partecipazione al mio dolore mi giunsero da tutti coloro che avevano ancora dell’affetto per me. Perfino molti che non mi conoscevano personalmente, avendo appreso quale nuovo dolore fosse entrato nella mia vita spezzata, scrissero chiedendo che mi venisse riferita qualche espressione delle loro condoglianze. Tu solo te ne sei stato da parte, non mi hai mandato una parola, non mi hai scritto una lettera. Di azioni simili, è meglio dire come Virgilio a Dante a proposito di coloro le cui vite sono state prive di nobili impulsi e superficiali nelle intenzioni: Non ragionar di lor, ma guarda e passa”.
FILIPPO CUSUMANO